I narcisi

I Narcisi sono piante erbacee bulbose appartenenti al genere Narcissus e fanno parte della famiglia delle Amarillidacee. Sono inconfondibili: i fiori sono un po’ piegati da un lato, bianchi, gialli, bianchi e gialli; sono solitari o riuniti in infiorescenze a ombrella. Non si distinguono calice e corolla, ma è presente un perigonio caratterizzato dal tubo al cui apice si trovano 6 tepali ben sviluppati. All’interno del fiore, fra i tepali, si osserva una struttura tubulosa chiamata corona. Le foglie sono semplici, lineari. I bulbi hanno, generalmente, tuniche esterne bruno-scure, cartacee.

Il genere comprende circa 50 specie originarie principalmente dell’Europa e in piccolo numero dell’Africa settentrionale e della Regione Mediterranea orientale. Molte di queste specie sono coltivate da molto tempo. Da esse sono derivati numerosi ibridi diffusi nei giardini e spesso spontaneizzati.

Le varie specie di Narcisi fioriscono fra l’inverno e la primavera: è facile osservarli in parchi e giardini, nei pascoli, ai margini di campi coltivati, in luoghi incolti e margini stradali.

Il Narciso selvatico ha fiori solitari; i tepali sono bianchi, la corona è giallastra, rossastra al margine. È’ diffuso nel settore montano, soprattutto nei pascoli fino a 1800 m di altezza, spesso con popolazioni molto abbondanti.

Il Narciso tazzetta ha i fiori riuniti in infiorescenze ad ombrella. I tepali sono bianchi e spesso un po’ ripiegati all’indietro. La corona è di colore giallo intenso. È’ spontaneo in campi coltivati e incolti e spesso coltivato nei giardini. È’ uno dei Narcisi più comuni.

Il Narciso italico è molto simile al Narciso tazzetta, ma i fiori sono più grandi, i tepali sono biancastri o giallo-biancastri, la corona è di colore giallo chiaro. Si trova in luoghi erbosi incolti ed è spesso coltivato nei giardini

Il Narciso incomparabile è di origine ibrida e si distingue dal Narciso trombone per avere il tubo del perigonio più stretto e più lungo. I tepali e la corona sono gialli; è coltivato poco frequentemente ed è rarissimo allo stato spontaneizzato.

Il Narciso bifloro è di origine ibrida. I fiori sono generalmente due. Tepali e corona sono bianchi. Coltivato nei giardini, si osserva raramente spontaneizzato in campi coltivati, luoghi erbosi incolti, siepi e arbusteti ombrosi del settore collinare e basso montano.

 

Il Narciso papiraceo ha i fiori riuniti in infiorescenze ad ombrella. Tepali e corona sono interamente bianchi. È’ coltivato nei giardini e assai raramente tende a spontaneizzare nelle zone limitrofe.

 

Il Narciso trombone ha fiori solitari; i tepali e la corona sono gialli. È’ frequentemente coltivato, con le sue varietà, come pianta ornamentale e si trova molto spesso spontaneizzato in siepi e coltivi.

 

È molto frequente anche con una varietà a fiori doppi in cui non si distinguono più i lobi del perigonio e la corona.

 

Il Narciso tazetta dorato ha i fiori riuniti in infiorescenze ad ombrella. Tepali e corona sono interamente gialli. È comunemente coltivato nei giardini e raramente spontaneizzato in luoghi erbosi incolti.

 

Narciso: tra mito e reltà

Il nome scientifico di questa pianta deriva dal greco narkissos, a sua volta legato a narké, nel significato di “odore”, “stupore”, a causa dell’intensa fragranza sprigionata dai suoi fiori (la medesima etimologia si trova nella parola narcotico).

Nel linguaggio simbolico delle piante il Narciso rappresenta la sicurezza, la forza e l’autostima; in senso negativo incarna la vanità e l’incapacità d’amare.

Tra le numerose leggende nate intorno a questa pianta, la più nota è senza dubbio quella che vede protagonisti Cefiso, dio delle acque e la ninfa Liriope. Dalla loro unione nasce Narciso, la cui straordinaria bellezza sarà fonte di drammatiche sciagure. La madre scopre che l’unico modo per preservare la giovinezza del figlio è impedire che questi possa specchiarsi e vedere il suo volto. Narciso trascorre la sua vita nella più totale riservatezza e lontana da ogni tentazione. Ciò nonostante, sono molte le Ninfe che cadono vittime del suo fascino; tra queste si fa avanti Eco, la quale tenta inutilmente di fare innamorare il giovane. Narciso, dal canto suo, è solo interessato a sé stesso e al suo aspetto fisico. La fanciulla, in preda a una profonda disperazione, trascorre le sue giornate camminando senza sosta, invocando il nome del suo amato. Gli dei, mossi da compassione decidono di punire il giovane per la sua eccessiva insensibilità e superbia: un giorno, infatti, camminando lungo le rive di un fiume, egli s’innamora perdutamente della sua immagine riflessa nell’acqua e nel tentativo di afferrarla cade e muore affogato. In seguito il suo corpo prende le sembianze di un bellissimo fiore dal profumo dolce e inebriante, mentre dell’infelice ninfa, consumata dal dolore, rimane solo la voce, che ancora oggi risponde ai viandanti che urlano tra le cime e le gole delle montagne.

Narcisi  [pdf - 3 MB]
 

A proposito della Panace di Mantegazzi...

E' qualche anno che sui principali social network circola la notizia sulla presenza di una pianta molto pericolosa che crea gravi lesione fino ad arrivare alla cecità, la pianta in questione è la Panace di Mantegazzi.  (Riportiamo qui a fianco l'articolo in questione)

Vorremmo precisare che in Italia è presente solo in alcune Regione, qui nelle Marche, la Panace di Mantegazzi (Heracleum mantegazzianum) non è stata ancora osservata.

È invece presente la Panace comune con tre diverse entità: Panace di Orsini (Heracleum orsinii), Panace siberiana (Heracleum sibiricum subsp. sibiricum) e Panace a foglie ternate (Heracleum sibiricum  subsp. ternatum). Si tratta di piante erbacee alte fino 150 cm e oltre, con grandi foglie basali lunghe fino 60 cm, pennate (subsp. sibiricum), divise in tre segmenti (subsp. ternatum) oppure non divise in segmenti e più o meno profondamente incise (Heracleum orsinii). I fiori sono piccoli di colore verdastro o giallognolo. Queste piante sono autoctone e diffuse in pascoli, boschi, radure, ghiaioni, dal settore collinare fino a oltre 2000 m.

Secondo Ballelli & Bellomaria (Ballelli S., Bellomaria B., 2005 - La flora officinale delle Marche) nell’uso popolare queste piante sono utilizzate per aromatizzare cibi e bevande e il decotto della radice è utilizzato per scopi officinali, tuttavia il contatto con la linfa provoca sensibilizzazione nelle persone sensibili.

I fiori e gli insetti impollinatori

Le piante utilizzano varie strategie per trasportare il polline necessario alla fecondazione dei fiori.

Uno strumento affidabile per raggiungere questo scopo è l’impollinazione garantita da un nutrito numero di insetti, i quali contribuiscono a preservare la biodiversità e la produttività degli ecosistemi.

Mele, ciliegie, arance, albicocche, fragole, zucche, zucchine, cetrioli, fagioli, peperoni, pomodori, sono solo una piccola parte della frutta e degli ortaggi che dipende dall’infaticabile attività di questi insetti

Solo in Italia, il fenomeno dell’impollinazione muove nel settore agro-alimentare (riferito alla produzione lorda vendibile) un giro di affari stimato intorno ai nove miliardi di euro.

La comparsa dei fiori, avvenuta circa 135 milioni di anni fa, durante il periodo giurassico, ha segnato una tappa fondamentale nel processo evolutivo del regno vegetale.

Le protagoniste di questo eccezionale evento sono le Angiosperme: il termine deriva dal greco spermatos, nel significato di “seme”, e angio, ricettacolo di semi. La caratteristica distintiva di queste piante è quindi legata alla presenza dei fiori, in grado di proteggere i semi all’interno di un ovario.

Le strategie messe in atto da questi vegetali sono focalizzate su alcune caratteristiche morfologiche, legate a colori, forme, profumi e produzione di nettare, che fungono da stimoli attrattivi per un vasto pubblico di insetti.

Alla base di questo processo empatico vi è uno spirito di cooperazione che trova il sostegno di api, bombi, farfalle e ad altri pronubi selvatici (sono dei buoni impollinatori anche i Ditteri, tra cui sirfidi, mosche, zanzare e alcune vespe).

Le api, ad esclusione di quella domestica (Apis mellifera) che rappresenta una piccola percentuale (circa il 10%) delle specie presenti, conducono delle vite autonome con una ridotta organizzazione sociale

Delle 20.000 specie di api solitarie sparse nel mondo, più di 500 vivono in Europa. Questi insetti sono molto attivi e svolgono una funzione importante poiché visitano anche i vegetali a scarsa produzione di polline e di nettare che generalmente vengono trascurati dalle api domestiche. Generalmente le femmine costruiscono un gruppo di cellette in un posto riparato (fessure, buchi, cavità ecc.) e all’interno di ciascuna di esse depongono un uovo. Poi le cellette vengono riempite con una miscela di nettare e polline che viene utilizzato dalla larva per crescere e giungere a maturità in piena autonomia, senza aver bisogno di cure parentali.

Altre specie sono propense a formare degli agglomerati, chiamati “borgate”, costituiti da 20 a 30 nidi, senza raggiungere nessuna forma di socialità. Esistono anche le cosiddette “gregarie” che scelgono di vivere in piccoli gruppi. Alcune preferiscono utilizzare fori già esistenti nei muri o nel legno oppure cavità naturali all’interno di fusti e tronchi di varie piante.

In Italia, tra gli apoidei solitari più comuni abbiamo le osmie (Osmia cornuta, Osmia, rufa, O. bicornis, O. caerulescens, ecc.), particolarmente attive durante il periodo primaverile. A differenza dell’ape comune, si riconoscono per aver un corpo più grande, munito di una folta peluria rosso scura (si possono confondere con i bombi); i maschi hanno il capo ricoperto di una caratteristico pelo bianco. Solo le femmine sono dotate di un piccolo pungiglione che utilizzano in rare occasioni. Le osmie costruiscono i loro piccoli insediamenti nei fori e all’interno di materiali legnosi. In ogni “appartamento” depongono le uova e le scorte necessarie alla sopravvivenza delle larve, poi chiudono l’ingresso con un tappo di fango, per proteggere la preziosa prole dall’attacco di parassiti e predatori. A sviluppo ultimato, le prime ad uscire (forando il portone di ingresso) saranno i maschi e dopo qualche settimana è il turno delle femmine.

Le osmie sono degli eccellenti insetti pronubi (impollinatori) e a differenza delle comuni api mellifere riescono a tollerare anche le basse temperature (la loro folta peluria li protegge dal freddo); generalmente prediligono le piante da frutto appartenenti alla famiglia delle Rosaceae (mandorli, albicocchi, susini, ecc.).

Curiosamente l’Osmia rufa nidifica anche all’interno dei gusci vuoti delle chiocciole, mentre un’altra specie (Osmia papaveris) preferisce scavare il nido sottoterra, rivestendo la celletta con frammenti di petali di papavero.

Altri apoidei solitari di particolare importanza sono l’“ape tagliafoglie” (Megachile centuncularis), la quale utilizza frammenti di foglie di rosa per rivestire le pareti delle sue cellette, generalmente allestite all’interno di fori precedentemente scavati da altri insetti (in particolare coleotteri appartenenti alla famiglia dei Cerambicidi); l’“ape legnaiola”, esperta nella costruzione di nidi nel legno tenero degli alberi e delle travi marcescenti, e l“ape della malta” (tra cui Amegilla albigena e A. quadrifasciata) abituata a nidificare in città all’interno dei fori dei mattoni, nelle crepe dei muri oppure in buchi scavati nel terreno. Generalmente queste specie di insetti sono poco aggressive, tendono a non attaccare l’uomo e sono facilmente riconoscibili per il corpo tozzo e gli occhi grandi di colore verde.

Sono degli efficaci impollinatori anche alcuni Coleotteri, soprattutto Scarabeidi, Coccinellidi, Crisomelidi e Curculionidi) e vari Ortotteri (cavallette, locuste e grilli).

A volte il mondo vegetale e quello animale si avvicinano così intimamente da assumere uno le forme dell’altro. Spinti da misteriosi principi ergonomici, i fiori assorbono la fisicità dei loro impollinatori, fino a imitarne i corpi. Molte Orchidee, ad esempio, sono riuscite nel corso della loro evoluzione a mettere in atto degli affascinanti stratagemmi per agevolare il processo d’impollinazione, impiegando attrattivi sessuali indirizzati ai maschi di vari Imenotteri. Questi ultimi, infatti, vengono spesso “abbindolati” con esche olfattive a base di pseudo-feromoni o con espedienti di tipo fisico, come nel caso di alcune specie appartenenti al genere Ophrys, in cui una parte del fiore (labello) imita i caratteri anatomici dell’insetto.

I fiori, grazie alle loro straordinarie capacità di adattamento, sono capaci di comunicare con gli insetti anche attraverso un linguaggio di “natura elettrica”, basato sulla reciproca percezione dei campi elettrici di bassissimo potenziale emessi da entrambi. L’affascinate scoperta è scaturita da una ricerca sulle abitudini alimentari dei bombi, condotta da un gruppo di biologi inglesi dell'Università di Bristol. Tramite questa impalpabile connessione, i fiori riescono a regolare la produzione di nettare in relazione alle esigenze dell’insetto e quest’ultimo è in grado di capire se un fiore è stato già visitato da altri impollinatori.

Purtroppo negli ultimi anni si è assistito a una progressiva diminuzione del numero degli impollinatori, causata da vari fattori come la frammentazione degli habitat naturali, l’incremento delle coltivazioni intensive, l’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti, la riduzione della biodiversità, i cambiamenti climatici, la carenza di risorse alimentari e l’attacco di agenti patogeni (virus, batteri, funghi e acari).

Sparsi in tutto il mondo esistono altri animali impollinatori, tra questi ragni, molluschi terresti, rettili, uccelli (appartengono alla famiglia dei Nettarinidi), ratti e pipistrelli (famoso è il Leptonycteris curasoae che vive in Colombia e Venezuela) e piccoli mammiferi. Senza dimenticare che il fenomeno dell’impollinazione trova un valido ausilio anche nell’azione del vento (impollinazione anemogama) e dell’acqua (impollinazione idrogama).

Le piante utilizzano varie strategie per trasportare il polline necessario alla fecondazione dei fiori.

Uno strumento affidabile per raggiungere questo scopo è l’impollinazione garantita da un nutrito numero di insetti, i quali contribuiscono a preservare la biodiversità e la produttività degli ecosistemi.

Mele, ciliegie, arance, albicocche, fragole, zucche, zucchine, cetrioli, fagioli, peperoni, pomodori, sono solo una piccola parte della frutta e degli ortaggi che dipende dall’infaticabile attività di questi insetti

Solo in Italia, il fenomeno dell’impollinazione muove nel settore agro-alimentare (riferito alla produzione lorda vendibile) un giro di affari stimato intorno ai nove miliardi di euro.

La comparsa dei fiori, avvenuta circa 135 milioni di anni fa, durante il periodo giurassico, ha segnato una tappa fondamentale nel processo evolutivo del regno vegetale.

Le protagoniste di questo eccezionale evento sono le Angiosperme: il termine deriva dal greco spermatos, nel significato di “seme”, e angio, ricettacolo di semi. La caratteristica distintiva di queste piante è quindi legata alla presenza dei fiori, in grado di proteggere i semi all’interno di un ovario.

Le strategie messe in atto da questi vegetali sono focalizzate su alcune caratteristiche morfologiche, legate a colori, forme, profumi e produzione di nettare, che fungono da stimoli attrattivi per un vasto pubblico di insetti.

Alla base di questo processo empatico vi è uno spirito di cooperazione che trova il sostegno di api, bombi, farfalle e ad altri pronubi selvatici (sono dei buoni impollinatori anche i Ditteri, tra cui sirfidi, mosche, zanzare e alcune vespe).

Le api, ad esclusione di quella domestica (Apis mellifera) che rappresenta una piccola percentuale (circa il 10%) delle specie presenti, conducono delle vite autonome con una ridotta organizzazione sociale

Delle 20.000 specie di api solitarie sparse nel mondo, più di 500 vivono in Europa. Questi insetti sono molto attivi e svolgono una funzione importante poiché visitano anche i vegetali a scarsa produzione di polline e di nettare che generalmente vengono trascurati dalle api domestiche. Generalmente le femmine costruiscono un gruppo di cellette in un posto riparato (fessure, buchi, cavità ecc.) e all’interno di ciascuna di esse depongono un uovo. Poi le cellette vengono riempite con una miscela di nettare e polline che viene utilizzato dalla larva per crescere e giungere a maturità in piena autonomia, senza aver bisogno di cure parentali.

Altre specie sono propense a formare degli agglomerati, chiamati “borgate”, costituiti da 20 a 30 nidi, senza raggiungere nessuna forma di socialità. Esistono anche le cosiddette “gregarie” che scelgono di vivere in piccoli gruppi. Alcune preferiscono utilizzare fori già esistenti nei muri o nel legno oppure cavità naturali all’interno di fusti e tronchi di varie piante.

In Italia, tra gli apoidei solitari più comuni abbiamo le osmie (Osmia cornuta, Osmia, rufa, O. bicornis, O. caerulescens, ecc.), particolarmente attive durante il periodo primaverile. A differenza dell’ape comune, si riconoscono per aver un corpo più grande, munito di una folta peluria rosso scura (si possono confondere con i bombi); i maschi hanno il capo ricoperto di una caratteristico pelo bianco. Solo le femmine sono dotate di un piccolo pungiglione che utilizzano in rare occasioni. Le osmie costruiscono i loro piccoli insediamenti nei fori e all’interno di materiali legnosi. In ogni “appartamento” depongono le uova e le scorte necessarie alla sopravvivenza delle larve, poi chiudono l’ingresso con un tappo di fango, per proteggere la preziosa prole dall’attacco di parassiti e predatori. A sviluppo ultimato, le prime ad uscire (forando il portone di ingresso) saranno i maschi e dopo qualche settimana è il turno delle femmine.

Le osmie sono degli eccellenti insetti pronubi (impollinatori) e a differenza delle comuni api mellifere riescono a tollerare anche le basse temperature (la loro folta peluria li protegge dal freddo); generalmente prediligono le piante da frutto appartenenti alla famiglia delle Rosaceae (mandorli, albicocchi, susini, ecc.).

Curiosamente l’Osmia rufa nidifica anche all’interno dei gusci vuoti delle chiocciole, mentre un’altra specie (Osmia papaveris) preferisce scavare il nido sottoterra, rivestendo la celletta con frammenti di petali di papavero.

Altri apoidei solitari di particolare importanza sono l’“ape tagliafoglie” (Megachile centuncularis), la quale utilizza frammenti di foglie di rosa per rivestire le pareti delle sue cellette, generalmente allestite all’interno di fori precedentemente scavati da altri insetti (in particolare coleotteri appartenenti alla famiglia dei Cerambicidi); l’“ape legnaiola”, esperta nella costruzione di nidi nel legno tenero degli alberi e delle travi marcescenti, e l“ape della malta” (tra cui Amegilla albigena e A. quadrifasciata) abituata a nidificare in città all’interno dei fori dei mattoni, nelle crepe dei muri oppure in buchi scavati nel terreno. Generalmente queste specie di insetti sono poco aggressive, tendono a non attaccare l’uomo e sono facilmente riconoscibili per il corpo tozzo e gli occhi grandi di colore verde.

Sono degli efficaci impollinatori anche alcuni Coleotteri, soprattutto Scarabeidi, Coccinellidi, Crisomelidi e Curculionidi) e vari Ortotteri (cavallette, locuste e grilli).

A volte il mondo vegetale e quello animale si avvicinano così intimamente da assumere uno le forme dell’altro. Spinti da misteriosi principi ergonomici, i fiori assorbono la fisicità dei loro impollinatori, fino a imitarne i corpi. Molte Orchidee, ad esempio, sono riuscite nel corso della loro evoluzione a mettere in atto degli affascinanti stratagemmi per agevolare il processo d’impollinazione, impiegando attrattivi sessuali indirizzati ai maschi di vari Imenotteri. Questi ultimi, infatti, vengono spesso “abbindolati” con esche olfattive a base di pseudo-feromoni o con espedienti di tipo fisico, come nel caso di alcune specie appartenenti al genere Ophrys, in cui una parte del fiore (labello) imita i caratteri anatomici dell’insetto.

I fiori, grazie alle loro straordinarie capacità di adattamento, sono capaci di comunicare con gli insetti anche attraverso un linguaggio di “natura elettrica”, basato sulla reciproca percezione dei campi elettrici di bassissimo potenziale emessi da entrambi. L’affascinate scoperta è scaturita da una ricerca sulle abitudini alimentari dei bombi, condotta da un gruppo di biologi inglesi dell'Università di Bristol. Tramite questa impalpabile connessione, i fiori riescono a regolare la produzione di nettare in relazione alle esigenze dell’insetto e quest’ultimo è in grado di capire se un fiore è stato già visitato da altri impollinatori.

Purtroppo negli ultimi anni si è assistito a una progressiva diminuzione del numero degli impollinatori, causata da vari fattori come la frammentazione degli habitat naturali, l’incremento delle coltivazioni intensive, l’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti, la riduzione della biodiversità, i cambiamenti climatici, la carenza di risorse alimentari e l’attacco di agenti patogeni (virus, batteri, funghi e acari).

Sparsi in tutto il mondo esistono altri animali impollinatori, tra questi ragni, molluschi terresti, rettili, uccelli (appartengono alla famiglia dei Nettarinidi), ratti e pipistrelli (famoso è il Leptonycteris curasoae che vive in Colombia e Venezuela) e piccoli mammiferi. Senza dimenticare che il fenomeno dell’impollinazione trova un valido ausilio anche nell’azione del vento (impollinazione anemogama) e dell’acqua (impollinazione idrogama).

Piante Buone e Cattive

 

L' Orto Botanico del Centro Ricerche Floristiche Marche

OrtoBotanicoCRFM.pdf  [pdf - 8 MB]
 

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

 

LE PIANTE E L'UNIVERSO DEI SUONI

 
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