Un po' di storia.....

Il Centro, fondato nel 1949 su iniziativa del Prof. A. J. B. Brilli-Cattarini, è inizialmente gestito da un Consorzio Universitario Elvetico interessato all'esplorazione di un territorio, quello marchigiano, scarsamente conosciuto sotto il profilo floristico. All'inizio del 1974 (terminata la gestione Elvetica in seguito ad un reinquadramento dell'attività). Il Centro è rilevato a titolo personale dal Prof. Brilli-Cattarini, con l'intento di impedire l'interruzione dell'attività e la dispersione degli Erbari e dei risultati dei lavori di ricerca sino allora condotti. Nel febbraio del 1975, con un atto di donazione, il Centro passa in proprietà e gestione all'Amministrazione Provinciale di Pesaro e Urbino, mantenendo la sede per i successivi 10 anni in Via E. Curiel, per poi trasferirsi, alla fine del 1985 in quella attuale.

Ricordo di un maestro

Una moto si inerpica lenta, ma sicura, per un pendio; è una Guzzi Lodola Regolarità 250. Si ferma; l’uomo scende, si toglie il casco, osserva l’Appennino, il suo Appennino, si accende una sigaretta e, zaino sulle spalle, si avvia su per il pendio con uno zappetto e un sacchetto di plastica. Ogni tanto si china e raccoglie delle piante che ripone con cura, con amore entro il sacchetto: è Aldo Joseph Bernard Brilli-Cattarini, botanico. Quest’uomo, questo grande uomo, si spegne il 31 luglio del 2006, nell’ospedale di Pesaro. Era nato il 6 febbraio 1924 ad Albiate (MI), ma lui ci teneva a dire che in realtà era nato un giorno diverso, in una diversa località.
Quando lo conobbi, alla fine degli anni ’70, non usava più la moto per le sue ricerche floristiche, ma è con la moto che lo immagino percorrere in lungo e in largo le montagne dell’Appennino e le valli della Val di Fassa. Una moto, la sua, che non mordeva rabbiosamente la terra, né rombava fastidiosa, ma scivolava rispettosa sui prati, scendeva silenziosa ripide chine, saliva discreta le mulattiere. D’altra parte Brilli-Cattarini ha sempre nutrito una grande passione per la moto, passione che lo ha portato a gareggiare più volte nella mitica Milano-Taranto. Al contrario non si era mai deciso a prendere la patente per guidare l’automobile. Amava tanto la Natura, da dedicarle quasi ogni suo pensiero, ogni sua energia. Era “il naturalista per eccellenza”: le migliaia di ore passate a osservare un minerale, ammirare il volo di un uccello, carpire i segreti della pianta umile, ne hanno fatto uno dei floristi più abili e completi vissuti a cavallo degli ultimi due secoli. La base della sua conoscenza si fondava, infatti, su una poderosa, sistematica, ricerca di campagna sostenuta dallo studio accurato della letteratura specialistica. Durante le escursioni organizzate da società naturalistiche, la sua autorevolezza era indiscussa e si trovava a proprio agio: lo studio appassionato della letteratura botanica gli permetteva di dire la sua anche in regioni a lui sconosciute.
Era una persona originale, schiva, riservata, ma di grande sensibilità e altruismo. Poteva sembrare burbero, in realtà ciò era dovuto soprattutto alla sua schiettezza e mancanza di ipocrisia. Nelle sue conversazioni era sempre diretto, non temeva di esprimere le proprie idee anche se poco popolari. Non amava parlare diffusamente in pubblico e durante le riunioni scientifiche coi colleghi botanici, non prendeva a lungo la parola, ma con le sue battute pungenti e sagaci, spesso scherzose, sintetizzava efficacemente le sue opinioni. Quando voleva sostenere le proprie idee con fermezza, era assai difficile per chiunque contrastarlo efficacemente. Tuttavia era estremamente socievole e si intratteneva volentieri a parlare anche con persone umili che incontrava durante le sue esplorazioni, offrendo immancabilmente all’interlocutore una sigaretta e informandosi su luoghi, persone e abitudini locali. Andava molto fiero delle sue origini elvetiche e spesso scherzava sui “difetti” di noi Italiani. In realtà amava profondamente questo paese e le Marche, la terra in cui aveva vissuto più a lungo. Amava anche la Val di Fassa che aveva ampiamente esplorata e di cui ben conosceva sia la flora che la geologia. Disdegnava il lusso, l’agiatezza, l’apparenza, la facile ricerca della notorietà. Era severo con gli altri e prima ancora con se stesso. Al lavoro dedicava ogni minuto della giornata, senza conoscere giorni di festa o ferie, lontano dai clamori e dai facili onori.
Non dava importanza al denaro che per lui era solo un mezzo necessario per alimentare le sue possibilità di conoscenza e ricerca scientifica ed era estremamente generoso con gli altri, sia materialmente sia offrendo tempo e collaborazione a chi, luminare della scienza o modesto appassionato, a lui si rivolgeva per un aiuto. Nonostante la profonda cultura e la grande esperienza non conosceva l’alterigia e la superbia: era disponibile al confronto scientifico e dialettico anche con interlocutori assai meno esperti.
Nonostante che negli ultimi anni sia sempre stato circondato da collaboratori, non disdegnava di preparare e spillare lui stesso i campioni raccolti. Anzi, finche è stato in buona salute, ha preferito preparare personalmente le piante con una cura estrema. I campioni preparati da Brilli-Cattarini sono notoriamente di grande qualità e le sue etichette fra le più complete fra quelle che si possono osservare negli erbari italiani.
A quanti chiedevano una collaborazione nella stesura o nella revisione di un lavoro, offriva una disponibilità completa senza lesinare energie e dati personali inediti. La sua memoria è rimasta integra fino all’ultimo giorno della sua vita; una memoria prodigiosa: ricordava perfettamente migliaia di binomi con relativi autori, ambienti e luoghi frequentati anni prima, persone, date e quando sfogliava il pacco di una vecchia erborizzazione, riusciva a ricostruire con estrema facilità l’ordine col quale aveva raccolti i vari campioni. La passione per le piante gli nacque da ragazzo: inizia prestissimo a raccogliere e determinare piante. Nell’erbario del Centro Ricerche Floristiche Marche sono conservati campioni da lui raccolti fin dagli anni ’30. Ha dedicato praticamente ogni attimo della sua vita, allo studio della flora. Tuttavia si è occupato (spesso ad alto livello) di micologia, agronomia, geologia, mineralogia, geografia, climatologia e zoologia. Fra gli animali era particolarmente esperto nel riconoscimento di uccelli, anfibi e rettili. Ma la sua innata curiosità e sete di conoscenza l’hanno portato a interessarsi anche di storia, filologia e teologia. Un animo avventuroso e curioso come il suo lo portò ad accostarsi con impegno all’alpinismo: attività che si coniugava perfettamente con la ricerca e lo studio delle piante rupicole, tipiche degli ambienti rocciosi più impervi.
Per gran parte della sua vita è stato, inoltre, un convinto e tenace assertore della necessità di conservare e proteggere gli ambienti naturali, prodigandosi in numerose iniziative scientifiche e divulgative volte a promuovere l’educazione e la sensibilità degli insegnanti, degli studenti e della cittadinanza in generale. Tuttavia negli anni si era allontanato da queste attività, molto probabilmente deluso dal proliferare di personaggi cavalcanti il “filone” del conservazionismo per opportunismo, rendiconto personale o con approccio puramente emozionale e non scientifico.
Era anche un ottimo conoscitore della flora alpina, infatti ha condotto, per numerosi anni, sistematiche campagne di ricerca sulla flora della Val di Fassa. Nel 1967 la pubblicazione de “Il regno di Laurino, uno sguardo alla geologia della Valle di Fassa, con qualche riferimento alla flora e alla vegetazione”, sintetizza l’ampiezza dei suoi interessi e il suo amore per la Natura, le rocce, i minerali, le montagne e soprattutto per la flora delle sue montagne. Ma è nello studio della flora marchigiana che si sviluppa la sua principale attività scientifica. I suoi contributi più significativi iniziano con la serie dei “Rinvenimenti floristici Marchigiani” (1952, 1956, 1957, 1958, 1960), per proseguire con numerose segnalazioni floristiche fra cui le “Segnalazione di piante nuove, inedite, o notevoli per la ragione marchigiana” (1969-1971-1973-1979). In seguito ha descritto due nuove specie per la Scienza: Cardamine monteluccii (1986) e Cirsium alpis-lunae (1991). Era in contatto con strutture e ricercatori di tutto il mondo e ha collaborato attivamente con Pietro Zangheri alla realizzazione della “Flora italica”. Responsabile per lungo tempo del controllo e revisione delle segnalazioni floristiche italiane era anche membro del Comitato per la mappatura della flora d’Europa per la realizzazione di Atlas Florae Europeae.
Ma il suo più grande merito rimane legato alla sua creatura più amata: il Centro Ricerche Floristiche Marche. Fondato nel 1949 e gestito per vari anni con le sue risorse personali, il Centro fu donato alla Provincia di Pesaro e Urbino nel 1975. In seguito la passione, la tenacia nonché il carisma e l’ammirazione che Brilli-Cattarini suscitava nei suoi concittadini e negli amministratori locali, gli permisero di ottenere da parte della Provincia di Pesaro e Urbino, la costruzione di un edificio appositamente progettato per la ricerca floristica. Infatti, lo stabile, che ha una superficie di circa 650 mq, è circondato da un Giardino Botanico di 4.500 mq e ospita al primo piano un ampio locale, con ridottissima superficie vetrata, finalizzato a conservare nel modo più razionale e sicuro un grande erbario (attualmente il più grande erbario delle Marche, costituito da varie collezioni fra cui la principale è l’Herbarium Brilli-Cattarini De Planta-Salis costituito da oltre 200.000 inserti). La sua produzione scientifica è notevole, ma non tanto quanto la sua lunga e grande preparazione farebbe ritenere, ma per Brilli-Cattarini era prioritario esplorare, studiare; la pubblicazione dei contributi alla conoscenza della flora servivano unicamente a mettere a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue osservazioni. Inoltre lui, che riteneva prioritario lo studio del patrimonio vegetale della sua regione e la stesura di flora delle Marche fisiche, era contrario alla compilazione di flore locali (che avrebbe potuto preparare con estrema facilità!). Infatti fino ai suoi ultimi giorni ha continuato ad osservare, a progettare lo studio di gruppi critici, a sperare di riprendere a erborizzare. Purtroppo la modestia, il rigore scientifico, il desiderio di approfondire ancora le sue conoscenze, gli hanno impedito di pubblicare quell’opera che è stata sempre il progetto scientifico della sua vita. Il ragazzo dai capelli biondi ha smesso di esplorare le sue montagne, ha inforcato la Guzzi e ci ha lasciato; spetta a noi proseguire per il sentiero da lui faticosamente tracciato.

Leonardo Gubellini

La moto utilizzata dal Prof. Aldo J. Brilli-Cattarini per condurre ricerche floristiche nelle Marche e in Val di Fassa

Moto Guzzi Lodola Regolarità 250

Modello: Lodola Regolarità 250, 5Y esemplare di 8 di un prototipo realizzato nel 1967;

Motore: monocilindrico a 4 tempi con cilindro in lega leggera, con canna cromata, inclinato di 45 gradi;

Cilindrata: 250 cc;

Cambio: a innesti frontali a quattro velocità;

Restauro (2000-2001):

Coordinamento e assemblaggio: Massimo Cappelletti con la collaborazione di Oscar Pagnini; Carrozzeria: Lino Galeazzi; Parte meccanica: Sergio Valentini; Parte elettrica: Riccardo Della Chiara.

Eseguito presso il Laboratorio Protetto Segnaletica della Provincia di Pesaro e Urbino con la collaborazione dei dipendenti.

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