Proposta di modifiche alla Legge della Regione Marche n.34 del 05/08/92, "Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del Territorio"

Il presente documento è stato redatto dal Dirigente del Servizio 4.1 Urbanistica e Pianificazione Territoriale Arch. Roberto BIAGIANTI e dal Dirigente del Servizio Giuridico-Amministrativo dell’Area Urbanistica–Territorio-Ambiente Dott. Andrea PACCHIAROTTI.
Si fa presente che tale proposta è stata originariamente elaborata nell’ambito dell’attività di redazione del Piano Territoriale di Coordinamento e sottoposta all’esame della Conferenza Provinciale delle Autonomie e della V Commissione Consiliare quale allegato a corredo dell’adottando PTC. Successivamente, anche sulla scorta delle indicazioni emerse dal confronto con gli ordini professionali, la proposta è stata ulteriormente affinata, corretta e integrata in alcune sue parti.
Infine la proposta è stata recentemente discussa dal comitato tecnico urbanistico di coordinamento delle quattro province marchigiane istituito presso l’URPM: le integrazioni riportate all’articolato, in tale sede, sono evidenziate in grassetto – corsivo nel testo.

PREMESSA

La legge 142/90 ha per la prima volta riconosciuto alla provincia, nell’ambito di un più complessivo potenziamento della "fisionomia funzionale" dell’ente, un importante ruolo urbanistico che ha la sua componente primaria nel riconoscimento della titolarità della funzione di pianificazione territoriale di coordinamento da esercitarsi mediante la predisposizione ed adozione del Piano Territoriale di Coordinamento (art.15 comma 2). L’altra rilevante attribuzione riconosciuta alla provincia dal legislatore nazionale, è in un certo senso derivata dalla prima e consiste nel compito di accertare la compatibilità degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti dai comuni con le previsioni del P.T.C. (art.15 comma 5). La Regione Marche, tuttavia, con la legge n.34 del 05 agosto 1992 nell’esercizio del ruolo di centro propulsore e di coordinamento del sistema delle autonomie locali che l’art.3 della L.142/90 riconosce alle regioni, ha specificatamente attribuito alle province, in esecuzione del citato comma 5, ulteriori funzioni urbanistiche finalizzate a garantire il coordinamento e l’approvazione degli strumenti pianificatori di livello comunale. In questa opera di attribuzione di funzioni, il legislatore regionale si è peraltro limitato ad operare un mero trasferimento (cfr.art.3) di quelle che erano le principali attribuzioni amministrative a carattere urbanistico di competenza regionale, senza provvedere a rimodellarne significativamente le modalità di esercizio.
Oggi tuttavia più che in passato, alla luce delle recenti riforme Bassanini (L.15.03.1997, n.59; L.15.05.1997 n.127; L.265/1999 (Napolitano-Vigneri) che stanno trasformando il sistema delle autonomie locali secondo le linee di un disegno strategico organico e coerente, teso a potenziare la fisionomia funzionale e strutturale degli enti locali e a rivoluzionare l’assetto dei rapporti tra centro e periferia, appare quanto mai opportuno avviare un processo di parziale revisione della legge urbanistica della regione marche n.34/92 orientato in prima istanza a due obiettivi che sono poi correlati quanto agli effetti:

  • valorizzazione, nella configurazione dei ruoli assunti dalle diverse amministrazioni locali nei procedimenti pianificatori, di moduli procedimentali improntati al modello della cooperazione e sussidiarietà;
  • semplificazione e accelerazione delle procedure di approvazione dei piani regolatori generali.

Rispetto al primo obiettivo va considerato che la L.59/1997 all’art.1 comma 2, nel prevedere la delega per il conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti amministrativi, assume quale criterio di individuazione delle funzioni, quello esponenziale e del dimensionamento territoriale degli interessi (... cura degli interessi e ... promozione dello sviluppo delle rispettive comunità) in connessione con il fondamentale principio di sussidiarietà implicante l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche ... alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati (art.4 comma 3 lett.a) della L.59/1997).
La straordinaria valenza federalista della sussidiarietà quale criterio di ripartizione delle funzioni pubbliche tra gli enti territoriali costituzionali, deriva dal fatto che tale principio postula che la sede istituzionale in cui va assunta la decisione deve coincidere innanzitutto con l’ente esponenziale della comunità di cittadini a cui sono direttamente riferibili, per la loro natura e dimensioni, gli interessi coinvolti; cosicché nel processo decisionale della pubblica autorità si realizzano più agevolmente e naturalmente le condizioni per assicurare, anche attraverso la più diretta partecipazione dei soggetti coinvolti, una adeguata rappresentazione ed una piena ponderazione degli interessi implicati. Sotto un altro aspetto il principio di sussidiarietà garantisce poi una netta e precisa individuazione dell’ente pubblico titolare della funzione, responsabilizzandolo direttamente, senza intermediari, rispetto alla propria comunità e in merito alla propria capacità di perseguire con efficacia ed efficienza il soddisfacimento degli interessi esponenziati. Al contempo questo meccanismo di allocazione della responsabilità della funzione in capo ad un’unica amministrazione, non introduce elementi di eccessiva rigidità nel sistema delle competenze; al contrario, il principio di sussidiarietà esalta appieno i moduli di cooperazione e coordinamento equiordinato tra enti: infatti, allorché per la dimensione degli interessi coinvolti o per carenze proprie, l’ente titolare della funzione non sia in grado di assolverla al meglio, il principio di sussidiarietà implica che intervenga a sostegno il livello istituzionale maggiormente in grado di assicurare efficacia all’azione pubblica, o garantendo il necessario coordinamento e l’interazione dei diversi soggetti pubblici, o integrando direttamente, con il proprio apporto, le carenze evidenziatesi.
A fronte del nuovo e potenziato assetto del sistema delle autonomie locali che si va configurando appare allora fondamentale che anche in un settore così nevralgico e più che mai di primario rilievo quale quello della definizione delle politiche di pianificazione territoriale, sia per un verso assicurata con tutta evidenza e chiarezza, la sfera di autonomia entro cui ciascun ente svolge con piena responsabilità la propria funzione pianificatoria in ragione della dimensione territoriale degli interessi esponenziati, e per altro verso sia assicurato il necessario coordinamento sussidiario e dunque l’integrazione delle competenze, sia per escludere incompatibilità e conflitti tra le scelte pianificatorie dei diversi livelli istituzionali, sia, in positivo, per addivenire a scelte di pianificazione il più possibile ponderate in cui possano confluire anche le valutazioni degli altri enti titolari, per il proprio ambito territoriale, delle funzioni urbanistiche.
E’ importante segnalare come, viste anche le lentezze con cui a livello di ordinamento statale si sta mettendo mano alla più volte enunciata legge quadro di riforma urbanistica, sollecitata con forza tramite specifiche proposte anche dall’INU nazionale, siano ancora una volta le regioni a mostrare la maggiore iniziativa nel tentativo di aggiornare l’ordinamento urbanistico, in coerenza con il nuovo assetto delle autonomie locali, con le rinnovate esigenze di semplificazione dei procedimenti, e con le novità emerse nel dibattito degli ultimi anni ad esempio in tema di distinzione tra pianificazione strutturale ed operativa. Tra le leggi più innovative già in vigore si ricordano, ad esempio, la legge 5/95 della Regione Toscana, la legge 6/95 della Regione Emilia Romagna, la legge 23/97 della Regione Lombardia, le nuove leggi urbanistiche delle regioni Piemonte, Liguria, Umbria, Friuli Venezia Giulia.
Rispetto all’evidenziato obiettivo di realizzare un armonico contemperamento tra esigenze dell’autonomia ed esigenze del coordinamento, la L.R.34/92 della Regione Marche appare in realtà migliorabile ed emendabile specie nella disciplina del procedimento di approvazione dei PRG comunali (cfr. artt.26-29) in cui viene sostanzialmente riconfermato il tradizionale modello derivato dalla legge 1150/1942 e ricondotto dalla giurisprudenza alla configurazione dell’atto complesso ineguale, vale a dire ad uno schema procedimentale in cui la formazione del PRG scaturisce dalla confluenza delle determinazioni provvedimentali di due enti: il Comune che predispone e adotta lo strumento urbanistico; la Provincia che, verificatane la legittimità e, nel merito, la congruenza e coerenza pianificatoria, lo approva con possibilità di emendarlo nel merito, in misura anche significativa e penetrante e comunque con una manifestazione di volontà provvedimentale che ha un peso prevalente (ineguale appunto) rispetto a quella espressa dall’amministrazione comunale.
La proposta che segue, di modifica della L.R.34/92, tende ad aggiornare i tradizionali modelli procedimentali di approvazione degli strumenti urbanistici generali e delle relative varianti mutuati dalla L.1150/1942, sulla base di una concezione meno centralistica e gerarchizzata dei rapporti tra i diversi livelli istituzionali, e a riconoscere maggiore autonomia alle amministrazioni comunali nella variazione dei piani regolatori generali.
Per quanto riguarda i poteri di modifica di cui la provincia è titolare in sede di approvazione degli strumenti urbanistici generali comunali, questi sono stati circoscritti espressamente (art.6) a quelli strettamente necessari ad assicurare la legittimità del piano e in particolare la compatibilità delle previsioni comunali con quelle obiettivizzate negli strumenti pianificatori di livello provinciale (PTC) e regionale (PPAR) e comunque con il rispetto di quegli interessi di rilevanza sovracomunale relativi alla localizzazione delle grandi opere pubbliche, alla tutela del paesaggio, dell’ambiente e dei complessi storici, monumentali ed archeologici. Sotto questo profilo va registrata l’esclusione, nella nuova elencazione dei poteri di riserva, di quella tipologia di modificazioni che l’art.10 comma 2 della L. 1150/42 individua come modifiche che non comportino sostanziali innovazioni e che in quanto non finalisticamente connesse alla tutela di interessi di rilievo sovracomunale, sono state tradizionalmente richiamate, in passato, per arrivare a sindacare vere e proprie scelte di merito di esclusiva competenza comunale.
L’art.6, attraverso una nuova formulazione dell’art.26 della L.R.34/92, ridisegna poi sostanzialmente anche il modulo procedimentale di approvazione degli strumenti urbanistici
generali, da un lato prefigurando per l’ente approvante (che comunque rimane la provincia) un ruolo in funzione maggiormente collaborativa e di controllo, che si estrinseca attraverso la formulazione di riserve sul piano adottato, prevedendo poi l’anticipazione dell’attivazione dell’intervento provinciale in funzione di controllo sul PRG al momento del deposito del piano per la presentazione delle osservazioni, con la conseguenza di un notevole alleggerimento dell’iter procedimentale e di una riduzione dei tempi per giungere all’approvazione definitiva.
Nella nuova stesura dell’art.26 della L.R.34/92 inserito all’art.6 della presente proposta di modifica legislativa viene altresì espressamente indicata la giunta provinciale quale organo competente ad approvare i piani urbanistici comunali e le relative varianti. Si pongono così le condizioni per risolvere in via legislativa una situazione di grave incertezza giuridica che si è venuta a creare sulla questione, a seguito di una recentissima pronuncia del TAR Marche (n.833 del 28 aprile 1999) che ha annullato, per vizio di competenza, una deliberazione della giunta provinciale di Ascoli Piceno di approvazione di una variante urbanistica comunale.
La Provincia di Pesaro e Urbino (insieme alle altre Province marchigiane, con la sola esclusione della Provincia di Ancona), si è determinata, fin dal 1992, anno di attribuzione delle funzioni in materia urbanistica, ad approvare con deliberazioni di giunta gli strumenti urbanistici comunali. Al riguardo siamo sostenuti dalla convinzione che la norma dell’art.32 comma 2 lett. b) della L.142/1990 (secondo cui i consigli provinciali e comunali, quali organi di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, hanno competenza, rispetto ai ... piani territoriali e urbanistici, (a)i piani particolareggiati ed (a)i piani di recupero, (a)i programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi, i pareri da rendere nelle dette materie) vada interpretata in collegamento sistematico con i principi che presiedono la materia urbanistica e in particolare coerentemente con la natura e i meccanismi di formazione e imputazione degli strumenti di pianificazione, così da condurre alla conclusione della corretta attribuzione alla competenza della giunta.
Si reputa infatti che la norma dell’art.32, lett.b) faccia riferimento ai piani territoriali ed urbanistici direttamente imputabili all’ente in cui è incardinato l’organo consiliare della cui competenza si tratta, e non agli strumenti pianificatori di un diverso livello istituzionale, rispetto al quale la provincia interviene, non esercitando direttamente la funzione di pianificazione territoriale, ma con un ruolo collaborativo, e con poteri essenzialmente di controllo e verifica correlati ad una limitata facoltà emendativa, a garanzia della compatibilità del piano comunale con gli indirizzi urbanistici e territoriali già espressi nel proprio strumento di pianificazione e negli altri piani sovraordinati.
Del resto la stessa tassativa elencazione degli atti di competenza consiliare contenuta nell’art. 32 della L. 142/90, nei casi di incertezza va interpretata alla luce del basilare criterio generale fissato dallo stesso art. 32, per cui il Consiglio, quale organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, ha competenza limitata ad una serie di atti fondamentali.
Ora se è assolutamente scontato che il PTC quale atto che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio sia un atto fondamentale di indirizzo politico-amministrativo della Provincia, appare difficile sostenere che questo medesimo requisito possa essere attribuito agli atti amministrativi con cui la Provincia approva i piani regolatori comunali, e le relative, anche minime, varianti parziali.
E’ da ritenere, semmai, più correttamente, che allorché verifica la rispondenza delle prescrizioni urbanistiche comunali con il PTC, la Provincia non formuli direttamente scelte di politica urbanistico-territoriale, ma si limiti ad assicurare attuazione agli indirizzi generali di assetto del territorio indicati dal Consiglio Provinciale. A questo punto appare chiaro che la competenza a sindacare i piani urbanistici comunali vada riconosciuta alla Giunta provinciale, oltre che per effetto del criterio residuale di cui all’art. 35 della L.142/90, in forza della norma contenuta nel medesimo articolo, secondo cui la Giunta attua gli indirizzi generali del Consiglio.
Ora rispetto a questo indirizzo interpretativo è intervenuta la suddetta sentenza del TAR marchigiano, che con argomentazioni che non appaiono convincenti ha stabilito la competenza del Consiglio provinciale riguardo all’approvazione dei piani urbanistici comunali.
Pur avendo fiducia che questo primo pronunciamento giurisprudenziale possa essere riesaminato innanzi al Consiglio di Stato, o addirittura dallo stesso TAR delle Marche in occasione di successive sentenze relative ad altri giudizi attualmente pendenti ove pure è stato eccepito il medesimo vizio di competenza, si ritiene quanto mai opportuno che la Regione Marche ponga fine a tale situazione di incertezza per l’unica via effettivamente risolutiva, quella legislativa.
Del resto anche le indicazioni contenute nelle leggi urbanistiche di altre regioni sono chiaramente nel senso della competenza della giunta provinciale quanto all’approvazione dei piani urbanistici comunali. Si citano, in proposito: l’art.39 comma 4 della L.R.36/97 della Liguria; l’art.17 comma 7 della L.R.56/77 del Piemonte, così come sostituito dall’art.1 della L.R.41/97, in materia di approvazione di varianti parziali al PRG; l’art.14 comma 7 della L.R.47/78 dell’Emilia-Romagna, così come sostituito dall’art.11 della L.R.6/95.
Infine va sottolineato che la proposta di modifica (artt.3 e 4) attraverso il radicale ridisegno del procedimento semplificato già confusamente disciplinato dall’art.17 della L.R.34/92, estende la possibilità (peraltro già contemplata sia pure in misura eccessivamente contraddittoria e ridotta dall’art.15 comma 5 della L.R.34/92) per le amministrazioni comunali di approvare autonomamente, ossia senza necessità dell’approvazione provinciale, alcune tipologie di varianti parziali minori al piano regolatore, che per le loro caratteristiche non siano tali da incidere sui criteri informatori del PRG e da interferire con interessi di rilevanza sovracomunale (in tal senso la proposta può avere valenza attuativa anche rispetto a quanto previsto dall’art.22 comma 6, secondo periodo, della L.20 aprile 1999, n.136, secondo cui le regioni, entro centottanta giorni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente, qualora non abbiano già provveduto, emanano norme che definiscono contenuti e limiti delle varianti non essenziali).
Va precisato, in via conclusiva, che le modifiche proposte sono state ispirate da alcune recenti normative regionali e in particolare dalla L.R. 6/95 dell’Emilia Romagna, dalla L.R. 23/97 della Lombardia, dalla L.R. 34/97 del Friuli Venezia Giulia. Le normative ivi contenute sono state ovviamente selezionate e adattate al particolare contesto normativo e alle peculiari esigenze del sistema di pianificazione territoriale proprio della regione Marche.
Si tratta, è chiaro, di una prima circoscritta proposta, che senza giungere a snaturare il complessivo impianto di base della legge urbanistica regionale, vuole rappresentare un primo tentativo per stimolare, nelle sedi istituzionali competenti, l’apertura di un confronto ed una discussione più ampi e articolati.

PROPOSTA DI ARTICOLATO NORMATIVO
IN MODIFICA DELLA LEGGE REGIONALE 5 AGOSTO 1992, N.34 e s. m. Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio.

Art.1

1. La lettera a) del comma 1 dell’art.3 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 così come sostituita dall’art.1 della l.r. 24 febbraio 1997, n.18, è sostituita dalla seguente:
a) l’approvazione degli strumenti urbanistici generali, dei regolamenti edilizi, delle relative varianti e degli strumenti urbanistici attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali comunali, fatto salvo quanto previsto dall’art.17;.

Art.2
1.
Il comma 5 dell’art. 15 della L.R. 5 agosto 1992, n. 34 è abrogato.

Art.3
1.
L’art.17 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 è sostituito dal seguente:
Art.17 - Varianti a procedura semplificata. - 1. Sono approvate dal Consiglio Comunale con la procedura semplificata di cui all’art.17 bis, le varianti parziali al piano regolatore generale relative ad una o più delle seguenti fattispecie:

a) varianti da assumersi ai sensi e per gli effetti dell’art.1 comma 5 della legge 3 gennaio 1978, n.1, o comunque dirette a localizzare opere pubbliche, nonché a modificare i relativi parametri urbanistici ed edilizi, purché relative ad opere non considerabili quali interventi di rilevante trasformazione ai sensi dell’art.45 delle nta del PPAR e purché, qualora si tratti di opere od impianti di interesse sovracomunale, siano assicurati i criteri per una loro razionale e coordinata sistemazione;
b) varianti interessanti, con esclusione comunque delle zone omogenee A, ambiti territoriali ricompresi all’interno di aree urbanizzate così come definite dal comma 5 dell’art.27 delle nta del PPAR, che prevedano la rettifica della perimetrazione delle zone omogenee o la modifica delle destinazioni d’uso, purché venga garantito nel contempo, ove necessario, l’adeguamento delle dotazioni di standard urbanistici richiesti dalla normativa vigente;
c) varianti atte ad apportare agli strumenti urbanistici generali, sulla scorta di rilevazioni cartografiche aggiornate dell’effettiva situazione fisica e morfologica dei luoghi, delle risultanze catastali e delle confinanze, le modificazioni necessarie a conseguire la realizzabilità delle previsioni urbanistiche anche mediante minime correzioni delle delimitazioni tra zone omogenee diverse;
c 1) le trasposizioni cartografiche e la correzione di errori connessi all’assunzione di una nuova base cartografica;
c 2) la riconferma delle previsioni di piano regolatore generale relative a vincoli scaduti ai sensi dell’art.2 della legge 19 novembre 1968, n.1187;
d) varianti che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali di riferimento per la redazione di strumenti attuativi o planovolumetrici, finalizzate a facilitare una più appropriata attuazione del piano e ad assicurare un miglior assetto urbanistico nell’ambito di intervento opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo;
e) varianti relative a comparti soggetti a piano attuativo che comportino una diversa dislocazione delle aree destinate a infrastrutture e servizi;
f) varianti relative alla progettazione urbanistica di dettaglio, allorché questa sia contenuta nel PRG ai sensi dell’art.15 comma 4;
g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui all’art.27 della legge 5 agosto 1978, n.457;
h) varianti aventi ad oggetto le norme di attuazione del PRG che attengono all’indice di fabbricabilità fondiaria delle zone residenziali B e all’indice di copertura delle zone D, purché vengano rispettate le seguenti condizioni: le eventuali variazioni in aumento non comportino in ogni caso il superamento del limite di 3 mc/mq per quanto attiene all’indice di fabbricabilità fondiaria delle zone residenziali B, e del limite del 50% per quanto attiene all’indice di copertura delle zone D; le variazioni in aumento risultino compatibili e funzionali rispetto al contesto urbanistico e tipologico-architettonico esistente; venga garantito, ove necessario, l’adeguamento delle dotazioni di standard urbanistici richiesti dalla normativa vigente.
i) varianti concernenti modificazioni di modesta entità della normativa dello strumento urbanistico generale, dirette a specificarne e/o integrarne i contenuti, nonché a renderla congruente con disposizioni normative o previsioni pianificatorie sopravvenute, eccettuati espressamente i casi in cui tali modifiche implichino incrementi degli indici di fabbricabilità e utilizzazione territoriale e fondiaria e dell’indice di copertura, fermo restando quanto previsto alla lettera h). In tali varianti di modesta entità sono altresì ricomprese le modifiche alla disciplina delle destinazioni d’uso, purché complementari e funzionali alle destinazioni di zona e a condizione che non comportino variazioni in aumento alle dotazioni di standard urbanistici richiesti dalla normativa vigente.

2.
Non possono in ogni caso essere ammesse alla procedura semplificata di cui all’art.17 bis, le varianti agli strumenti urbanistici generali relative ad una o più delle seguenti fattispecie:

a) varianti ai programmi di fabbricazione vigenti o ai PRG non ancora adeguati al PPAR;
b) varianti riguardanti zone sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.1497 e della legge 8 agosto 1985, n.431, o comunque riguardanti zone individuate dal PRG, in sede di adeguamento al PPAR, come ambiti definitivi di tutela paesistico-ambientale, salva l’ipotesi di cui al comma 1 lett.c 1).
c) varianti che producano come effetto la conformità alle previsioni urbanistiche di eventuali interventi abusivamente realizzati;
d) varianti non conformi a previsioni e indirizzi del PIT o del PTC o di altri piani sovraordinati;
e) varianti in contrasto con prescrizioni dettate dalla provincia in sede di approvazione degli strumenti urbanistici comunali.


Art.4
1.
Dopo l’art.17 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 così come sostituito dall’art.3 della presente legge è aggiunto il seguente articolo:
Art.17 bis. - Procedura semplificata. - 1. Le varianti di cui al comma 1 dell’art.17 sono adottate e depositate con le modalità di cui al comma 1 dell’art.26. Contemporaneamente al deposito sono trasmesse alla giunta provinciale la quale, entro il termine perentorio di 60 giorni dal ricevimento, assume, verificata la razionalità, la funzionalità e la coerenza con i principi ispiratori del PRG vigente e considerate le fattispecie di cui ai commi 1 e 2 dell’art.17, una delle seguenti determinazioni:

a) delibera il nulla osta all’accesso della variante alla procedura semplificata;
b) delibera il nulla osta con raccomandazioni all’accesso della variante alla procedura semplificata;
c) delibera il diniego del nulla osta all’accesso della variante alla procedura semplificata.

2. Decorso il termine di cui al comma 1 senza che la giunta provinciale abbia assunto alcuna deliberazione, il nulla osta si intende acquisito. Il termine può essere interrotto per una sola volta dalla richiesta della provincia di fornire chiarimenti o provvedere ad integrazioni documentali; in tale caso il termine riprende a decorrere per intero dalla data di ricevimento dei chiarimenti o delle integrazioni documentali.
3. Il consiglio comunale una volta acquisito, anche a seguito di maturazione del silenzio assenso, il nulla osta della provincia, approva definitivamente la variante decidendo contestualmente in ordine alle osservazioni presentate. In tale sede il comune è tenuto a rigettare le osservazioni che per il loro contenuto e la loro natura implichino, in caso di accoglimento, una modifica sostanziale della variante adottata, tale cioè da farla esorbitare dai limiti delle fattispecie disciplinate ai commi 1 e 2 dell’art.17. Qualora la giunta provinciale abbia assunto la determinazione di cui alla lettera b) del comma 1, il consiglio comunale è tenuto, in sede di approvazione, ad adeguarsi alle raccomandazioni ovvero ad esprimersi in merito a queste con motivazioni puntuali e circostanziate.
4. Quando la giunta provinciale nega il nulla osta ai sensi della lettera c) del comma 1, non ritenendo sussistenti le condizioni a cui l’art.17 subordina l’accessibilità alla procedura semplificata, la variante viene mantenuta in capo alla provincia che provvede ad esaminarla sotto il profilo della legittimità e del merito secondo le modalità e le procedure di cui all’art.26. In tal caso il termine per formulare le riserve di cui al comma 2 dell’art.26 decorre dalla data in cui è stata assunta la determinazione negativa di cui al comma 1 lett. c) del presente articolo.
5. A fini conoscitivi il comune è tenuto a trasmettere alla provincia territorialmente competente, l’atto di approvazione finale della variante.

Art.5
1.
Dopo l’art.17 bis della l.r. 5 agosto 1992, n.34 così come introdotto dall’art.4 della presente legge è aggiunto il seguente articolo:
"Art.17 ter. - Atti di rettificazione non costituenti variante urbanistica. - 1. Non costituiscono variante agli strumenti urbanistici generali i seguenti atti di rettificazione:

a) la correzione di errori materiali contenuti nelle norme tecniche di attuazione, nella cartografia o negli altri elaborati di piano, salva l’ipotesi di cui all’art.17 comma 1 lett. c1;
b) l’interpretazione autentica e l’eventuale conseguente modificazione dei medesimi elaborati, finalizzata all’eliminazione di previsioni tra loro contrastanti a condizione che dagli atti e dagli elaborati dello strumento vigente sia desumibile la reale volontà dell’amministrazione.

2. Gli atti di rettificazione di cui al comma 1 sono approvati con deliberazione del consiglio comunale e assumono efficacia dalla data di pubblicazione per estratto della deliberazione comunale sul Bollettino ufficiale della regione Marche.
3. A fini conoscitivi il comune è tenuto a trasmettere alla provincia territorialmente competente, copia autentica della deliberazione di rettificazione e degli elaborati dello strumento urbanistico generale eventualmente corretti..

Art.6
1.
Gli articoli 26, 27, 28, 29 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 sono abrogati e sostituiti dal seguente articolo:
Art.26. - Approvazione del piano regolatore generale. - 1. Il piano regolatore generale (PRG), adottato dal consiglio comunale, entro otto giorni dall’adozione è depositato a disposizione del pubblico per trenta giorni, presso la segreteria del comune. Dell’avvenuto deposito è data notizia mediante avviso pubblicato all’albo del comune, mediante l’affissione di manifesti e la pubblicazione di apposito avviso sulle pagine locali di almeno due giornali quotidiani di diffusione regionale. Entro sessanta giorni successivi al deposito chiunque può formulare osservazioni sui criteri e sulle linee generali del PRG adottato.
2. Contemporaneamente al deposito il PRG viene trasmesso alla giunta provinciale la quale, entro il termine perentorio di 180 giorni dal ricevimento, sulla base dell’istruttoria degli uffici e acquisito il parere del comitato provinciale per il territorio di cui all’art.55, può sollevare con apposito atto deliberativo riserve relative a vizi di legittimità delle previsioni di piano, alla necessità di una sua rielaborazione allorché venga accertato che i criteri informatori e le caratteristiche essenziali del PRG sono difformi dalle previsioni del PPAR, del PIT o del PTC, ovvero alla necessità di apportare modifiche e integrazioni finalizzate ad assicurare:

a) l’osservanza dei vincoli, delle prescrizioni, degli indirizzi e delle direttive contenuti nel PPAR, nel PIT e nel PTC;
b) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse sovracomunale;
c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici;
d) l’osservanza dei limiti e dei rapporti di cui ai precedenti articoli 18, 19 e 21.

3. Decorso il termine di cui al comma 2 senza che la giunta abbia assunto alcuna determinazione, il PRG si considera valutato positivamente dalla provincia. Le riserve non formulate nella presente fase non possono essere sollevate in sede di approvazione del PRG, fatte salve quelle derivanti dall’esame delle osservazioni.
4. Il termine di cui al comma 2 può essere interrotto per una sola volta, entro il sessantesimo giorno dal ricevimento del piano, dalla richiesta della provincia di fornire chiarimenti o di provvedere ad integrazioni documentali. In tal caso il termine di 180 giorni riprende a decorrere per intero dalla data di ricevimento dei chiarimenti o delle integrazioni documentali.
5. Entro 90 giorni dal ricevimento delle riserve o comunque dalla scadenza del termine per sollevare le medesime, il consiglio comunale controdeduce alle osservazioni presentate ai sensi del comma 1 ed alle riserve eventualmente sollevate dalla giunta provinciale, proponendo l’introduzione delle modifiche strettamente necessarie in conseguenza dell’accoglimento delle osservazioni e delle riserve provinciali; entro il medesimo termine il comune provvede alla revoca del PRG adottato, quando la provincia abbia formulato, nel caso previsto dal comma 2, un invito alla sua rielaborazione.
6. La giunta provinciale, entro 120 giorni dal ricevimento del piano e delle relative controdeduzioni di cui al comma 5, esaminate le controdeduzioni e le eventuali proposte di modifica del piano formulate dal consiglio comunale, decide sulle osservazioni ed approva il PRG, introducendo le ulteriori modifiche discendenti dall’accoglimento delle osservazioni presentate e quelle ritenute comunque indispensabili a soddisfare le riserve di cui al comma 2, ove le stesse non si ritengano superate dalle eventuali controdeduzioni comunali.

Art.7
1.
Il comma 3 dell’art.39 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 è abrogato.

Art.8
Al comma 2 bis dell’art.40 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 così come aggiunto dall’art.5 della l.r. 24 febbraio 1997, n.18, è soppresso il seguente inciso: ...e all’art.27, comma3,....

Art.9
1.
Dopo il comma 2 dell’art.58 della l.r. 5 agosto 1992, n.34 così come modificato dall’art.6 della l.r. 24 febbraio 1997, n.18, è aggiunto il seguente comma:
3. Non è obbligatoria l’acquisizione del parere del comitato provinciale per il territorio allorché la giunta provinciale debba assumere una delle determinazioni di cui al comma 1 dell’art.17 bis, e allorché decide sulle osservazioni e approva il PRG ai sensi dell’art.26 comma 6.

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