Il difficile cammino della pianificazione provinciale di Giuseppe Campos Venuti e Federico Oliva

1. 10 anni dalla legge 142/90

La presentazione in un volume degli elaborati fondamentali, analitici e progettuali, del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Pesaro e Urbino, comporta, come si usa, una introduzione degli autori, o di chi, come noi, ha svolto una funzione di consulenza generale e operativa nei confronti della struttura interna all'Amministrazione, in questo caso assai organizzata e capace; struttura interna che è una delle ragioni principale del successo dell'elaborazione del piano e una condizione essenziale per la sua futura gestione, vale a dire perché il piano serva a qualche cosa.

In questo caso tuttavia, partendo dal modello elaborato per il PTCP di Pesaro e Urbino, un modello che a noi è sembrato ovviamente il più adatto e il più efficace in rapporto alla situazione amministrativa italiana e all'attuale ordinamento urbanistico, ci sembra utile sviluppare una riflessione più generale sulle esperienze di pianificazione provinciale in Italia (sui suoi molti modelli, stili e approcci), fatta alla chiusura del primo decennio di applicazione della legge 142/90. Un decennio che, soprattutto nella seconda metà, ha prodotto numerose proposte di piano, grazie soprattutto a quella legge che ha ridefinito i compiti delle Province e alla riforma del sistema elettorale che ne ha parzialmente rafforzato la rappresentatività politica.

Gli ultimi anni, inoltre, sono stati quelli di una seconda generazione delle legislazioni regionali in materia urbanistica e territoriale, anche se circoscritta ad alcune Regioni, che ha tentato di scostarsi più di quanto fosse avvenuto venti anni prima dalla vecchia legge urbanistica nazionale; proponendo alcune indispensabili innovazioni, ormai mature nel mondo disciplinare e amministrativo, che a livello di legislazione nazionale non si sono sapute ancora affrontare. E cioè sviluppando in particolare due contenuti principali: la riforma del piano comunale, con la definizione delle due componenti strutturale e operativa (con leggi già in vigore per la Toscana, l'Umbria e la Liguria, e con proposte a vario livello di definizione per l'Emilia Romagna e il Lazio); mentre la disciplina della pianificazione provinciale, in attuazione appunto della legge 142/90, riguarda in vario modo la maggioranza delle Regioni, con alcune eccezioni assai rilevanti come la Lombardia e il Piemonte, Regioni che invece nel passato avevano sollecitato la pianificazione subregionale con l'esperienza dei comprensori.

Per quanto riguarda la pianificazione provinciale si registra però, in vari casi, una incertezza e talvolta una aperta ostilità da parte delle Regioni a trasferire le competenze di legge; e lo stesso discorso vale per quanto riguarda l’istruttoria di approvazione dei piani comunali da parte delle Province. Al contrario le Marche, l'Emilia Romagna, la Toscana e poche altre Regioni si sono mosse invece apertamente per favorire l'ingresso delle Amministrazioni Provinciali nel settore dell'urbanistica. Nello specifico la Regione Marche con la L.R. 34/92 ha attribuito competenze urbanistiche alle Province sia riguardo alla redazione dei PTCP, sia riguardo l’esame dei PRG comunali; la Provincia di Pesaro e Urbino, che comprende 67 Comuni, ha fino ad oggi approvato 23 PRG in adeguamento al PPAR. Quello delle Marche e delle altre Regioni sopra ricordate è l'unico orientamento che rispetta la forma e la sostanza della legge 142/'90, quello necessario in particolare a trasformare il Piano Territoriale di Coordinamento della legge urbanistica del 1942 in un piano provinciale effettivamente utile e non un ulteriore elemento di complicazione di un sistema di pianificazione già troppo complicato e farraginoso; un provvedimento tale, inoltre, da consentire anche una effettiva riforma del piano comunale, perché toglie dalla unica e isolata responsabilità di questo strumento, proprio alcuni di quei contenuti (la tutela ambientale, le politiche di ecologica territoriale, le grandi scelte infrastrutturali e dei trasporti, ad esempio) che ne hanno determinato la parziale inefficacia.

A quasi dieci anni dalla legge 142/90, il cammino dei PTCP, che sono pure una componente indispensabile in un organico ed efficiente sistema di pianificazione, non appare certamente facile. Da un lato esso è aiutato solo parzialmente dalla più recente legislazione regionale, non sempre adeguata, come già ricordato, per una definizione appropriata di questo piano; ma soprattutto ancora incompleta, dato che non tutte le Regioni a statuto ordinario hanno ottemperato alle disposizioni della legge. Dall'altro lato le sperimentazioni in atto si sono spesso allontanate dal modello strutturale suggerito sostanzialmente dalla legge e elaborato più dettagliatamente dall'INU, creando situazioni controproducenti per quell'esperienza e, più in generale, per lo stesso successo della pianificazione provinciale. Infine bisogna purtroppo ricordare la precarietà dell'istituzione provinciale, spesso messa in discussione fino alle ricorrenti proposte di abolizione, che non conferisce certo autorità e credibilità all'azione pianificatrice, anche alla più responsabile e concreta.

Nonostante queste difficoltà il cammino dei PTCP deve essere compiuto, perché il piano provinciale non solo fornisce le necessarie risposte di coordinamento del sistema insediativo e dei servizi e attrezzature di rilevanza territoriale, di tutela ambientale e paesistica oltre che di nuove politiche ecologiche sul territorio; ma rappresenta anche uno strumento indispensabile di un moderno sistema di pianificazione, per affrontare quei temi che i PRG hanno dimostrato di non poter governare, rischiando di rimanere ancora per lungo tempo l'unico elemento del sistema di pianificazione urbanistica italiana.

2. L'area vasta: Provincia o Regione?

In concomitanza con il maggiore sviluppo del processo di pianificazione provinciale, si è anche è sviluppato il dibattito, a livello disciplinare e politico, sulla scelta di utilizzare le Province come ambito di riferimento per la pianificazione territoriale, o, come si dice ora, di "area vasta"; contrapponendo apertamente alle Province le Regioni, quale ambito più appropriato per la pianificazione territoriale.

In particolare, i sostenitori del livello regionale sottolineano la eccessiva frammentazione delle Province, che in alcuni casi, soprattutto in quelli di più recente formazione, riguardano ambiti territoriali molto ristretti, formati da pochi o pochissimi Comuni (Lodi, Prato, Rimini) o la situazione particolare di Province che interessano quasi tutto il territorio regionale (Perugia in Umbria e Udine nel Friuli - Venezia Giulia). Così come sottolineano anche (ma lo stesso ragionamento vale anche per le Regioni), come i confini provinciali abbiano una origine prevalentemente amministrativa, che talvolta non risponde alla storia dei territori e alla loro conformazione fisico - geografica.

Queste motivazioni non sono comunque determinanti per orientare l'interesse per la "area vasta" verso il livello regionale. Chi si riferisce in modo seriamente innovativo a questa dimensione, pensa infatti ad un modello di pianificazione di tipo strategico, basata essenzialmente sulle politiche infrastrutturali e su alcune grandi scelte di servizi e attrezzature di rilevanza territoriale; un modello quindi "per politiche e per progetti" che utilizzi i nuovi strumenti di negoziazione definiti nel corso degli anni novanta e che appare del tutto compatibile con il livello regionale e con la necessità di offrire un quadro di riferimento al sistema di pianificazione. Una posizione del tutto condivisibile che sottolinea il ruolo indispensabile delle Regioni, ma che non soddisfa in alcun modo le necessità della pianificazione territoriale, che mantiene altrimenti l'isolamento del piano urbanistico comunale; un ruolo che quindi non appare assolutamente contraddittorio, ma anzi complementare, rispetto alla pianificazione provinciale.

Peraltro, quando la pianificazione regionale si è proposta solo come piano territoriale per la "area vasta ", interessando cioè tutta l'area regionale, si è generalmente espressa in termini di "non piano"; non rispettando neppure le esigenze programmatiche, strategiche e selettive, traducendosi invece, nell'assemblaggio di tutti i fabbisogni, le rivendicazioni e le proposte progettuali via via affastellatesi nel tempo. Mentre anche il caso della pianificazione paesistica regionale, di cui alla legge 431/85, una pianificazione territoriale relativa alla sola materia ambientale, palesa evidenti difficoltà legate alla scala della progettazione, anche nelle migliori esperienze condotte su questo tema (l'Emilia Romagna, le Marche e la Liguria). Al punto da rendere oggi necessaria una verifica dei Piani Paesistici proprio alla scala provinciale, cioè ad una scala più dettagliata, in grado di correggere le semplificazioni e gli inevitabili errori di un progetto condotto ad una scala troppo ampia.

Per contro, i sostenitori del livello provinciale, tra cui chi scrive queste note, sottolineano come la stessa presenza delle Regioni, a partire dal 1970, abbia di fatto posto l'esigenza di un "ente intermedio" di raccordo con la dimensione comunale, troppo polverizzata dal punto di vista territoriale, ma tuttavia assai legata alla cultura del Paese e vitalissima dal punto di vista della pianificazione urbanistica (fino ad oggi, di fatto, l'urbanistica italiana si è identificata con i PRG). Inoltre, nel corso degli ultimi due decenni, l'ampiezza delle interrelazioni fra le maggiori città e i Comuni circostanti si è molto allargata, rendendo del tutto impraticabile la scala comprensoriale a cui alcune Regioni (la Lombardia e il Piemonte appunto, ma anche l'Emilia - Romagna, il Veneto e l'Umbria) avevano pensato di riferirsi nelle prime legislature regionali. Si era allora articolato, seppure con molte diversità tra Regione e Regione, il territorio in modo più organico e motivato dei vecchi confini amministrativi: individuando "comprensori" dalle dimensioni più diverse, 14 in Piemonte, 32 in Lombardia, 52 in Veneto, 28 in Toscana. Insieme a queste ragioni, vanno anche considerate le problematiche di rappresentatività politica dei comprensori quali associazioni non elettive dei Comuni; che, se presentavano forti difficoltà di funzionamento quando il sistema politico era sostanzialmente gestito da pochi grandi partiti organizzati, risultano del tutto improponibili nella attuale situazione.

La presenza delle Province, previste dalla Costituzione, l'allargamento delle interrelazioni territoriali tra i centri urbani e, infine, il nuovo sistema elettorale che conferisce maggiore rappresentatività politica alla Provincia, sono quindi le motivazioni che hanno spinto la pianificazione di "area vasta" verso la dimensione provinciale, assegnando alle Province i nuovi compiti istituzionali. E se è vero che la dimensione di alcune Province ripropone i difetti della organizzazione comprensoriale, questa condizione appare, tutto sommato, relativa ad una netta minoranza di casi, tale da non mettere in discussione la scelta nel suo complesso. Peraltro, chiunque rifletta sul forte radicamento sociale e culturale verso i proprio luoghi (d'origine, di residenza) presente in Italia, un radicamento che spesso degenera in campanilismo, è perfettamente cosciente delle grandi difficoltà che incontra anche la più semplice e assolutamente ragionevole razionalizzazione dell'organizzazione comunale, come, ad esempio, la riduzione e l'accorpamento dei Comuni più piccoli. Confermando, anche in questo caso, la validità della scelta provinciale anche per la pianificazione territoriale!

A ulteriore sostegno della scelta delle Province come ambito di riferimento per la "area vasta", vi è anche la problematica paesistica: oltre alle questioni opportunità tecnica già ricordate a proposito della scala di analisi e progettazione, va infatti ricordato come recentemente sia stata attribuita al PTCP anche la funzione di piano paesistico da parte del decreto legislativo 112/98, uno dei decreti "Bassanini" di attuazione del decentramento amministrativo. La norma dispone infatti che il PTCP ..."assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori di protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali ...", con una modifica quindi significativa della disciplina della legge 431/85. Nelle stessa direzione sono andate anche alcune recenti leggi regionali relative alla disciplina dei PTCP (l'Emilia Romagna e l'Umbria) e quindi questa appare ormai come una scelta consolidata, da generalizzare.

Quanto alla rappresentatività politica delle Province, se è stata sicuramente rafforzata dal nuovo sistema elettorale, è stata tuttavia anche messa in discussione dalle valutazioni sulla utilità e sulla funzionalità di questo ente: nelle elezioni parziali amministrative di fine '98, mentre la partecipazione al voto comunale si è mantenuta su livelli alti, dove si è votato solo per il rinnovo delle Amministrazioni Provinciali, si è registrato un calo di partecipazione assai rilevante per la realtà italiana. Tanto da evidenziare, almeno secondo alcuni, oltre ad una probabile e generalizzata disaffezione verso il voto causato dalla eccessiva frequenza elettorale, anche una valutazione negativa sul ruolo e sulla utilità delle Province. In realtà sembra ormai evidente che, oltre al voto politico, il cittadino italiano sia sostanzialmente interessato solo a quello amministrativo comunale: se quindi si fosse votato recentemente per il rinnovo di una Amministrazione Regionale, pur considerando il diverso sistema elettorale, si sarebbe probabilmente verificata una partecipazione analoga a quella verificatasi nelle ultime elezioni per la Provincia.

Il problema è evidentemente quello di una riforma organica dell'intero sistema amministrativo italiano, semplificandolo ma anche riducendolo, pensando cioè all'impegno della spesa pubblica; e soprattutto ridefinendo compiti e ruoli di ogni amministrazione. Nel dibattito alquanto caotico avvenuto nella Commissione Bicamerale per la riforma costituzionale all'inizio del '98, le Province erano state confermate, lasciando tuttavia immutato l'attuale sistema. Da questa situazione bisogna quindi partire, considerando come ai fini dell'indispensabile processo di pianificazione di "area vasta", le Province siano oggi l'ambito più appropriato, come dimensione e come rappresentatività politica e istituzionale.

Quanto al livello regionale, preso atto delle inefficaci passate esperienze per i motivi già sottolineati, dovrà riguardare iniziative di programmazione più che di pianificazione, in grado si selezionare le grandi scelte strategiche, soprattutto quelle infrastrutturali, da discutere da un lato con il Governo nazionale e, dall'altro lato, con le Province e i Comuni. Scelte che le Province contribuiranno a definire e che poi riverseranno evidentemente nel rispettivi PTCP. Mentre per quanto riguarda la materia ambientale e paesistica le Regioni dovrebbero fornire i necessari indirizzi, da approfondire e sviluppare con i PTCP. Ben vengano quindi le nuove forme della programmazione regionale, strategica, selettiva e prioritaria, e le nuove procedure di intervento e di attuazione a cui si riferiscono i sostenitori di questo livello di governo del territorio, che tuttavia non è in grado di sostituire quello provinciale, come ambito della pianificazione territoriale.

3. Modelli di PTCP

Senza pretendere di restituire in modo analitico la ricchezza della sperimentazione iniziata in questi anni novanta sui PTCP, è utile tentarne una lettura interpretativa, assai sintetica, finalizzata anche ad evidenziare la validità del modello adottato per la Provincia di Pesaro e Urbino. D'altronde anche le prime rassegne sui PTCP, come quella pubblicata sul n. 107/96 di Urbanistica, hanno evidenziato le diversità e i caratteri sperimentali dei vari approcci e ne hanno tentato una prima classificazione interpretativa.

Schematizzando e aggregando le molte sperimentazioni proposte, emergono alcuni modelli di PTCP, rappresentativi di approcci diversi e, in qualche caso, alternativi, che vengono di seguito brevemente tratteggiati. La schematizzazione consiste essenzialmente nell'evidenziare il carattere prevalente, la tipologia dominante del PTCP; mentre nelle sperimentazioni, spesso coesistono o si associano più approcci.

Il modello vetero-comprensoriale. Deriva direttamente dalle esperienze di pianificazione intercomunale e comprensoriale, che hanno avuto un certo successo negli anni sessanta e settanta non soltanto nelle aree metropolitane, agendo soprattutto come momento di coordinamento e di omogeneizzazione della pianificazione comunale per quanto riguarda gli standard, le norme di attuazione e la regolamentazione edilizia, oltre che di programmazione degli interventi di iniziativa pubblica relativa all'edilizia residenziale e agli insediamenti artigianali. Di fatto, questo modello ripropone una pianificazione comunale dilatata alla scala della Provincia, un grande PRG quindi, di cui utilizza il principale bagaglio strumentale (zoning, vincoli urbanistici) e di cui accentua impropriamente i limiti gestionali e attuativi.

Il modello autoritario. Si tratta di una ulteriore involuzione del modello precedente, conseguente ad una sorta di revanchismo delle Province, finalmente dotate dei poteri necessari, nei confronti del tradizionale "anarchismo municipale": utilizzando sempre lo strumentario della pianificazione urbanistica tradizionale, il PTCP tende a "correggere i compiti" dei Comuni, entrando in modo paternalistico nel merito delle loro scelte, senza neppure ricercarne il consenso preventivo, attraverso i momenti di consultazione e partecipazione normalmente previsti da tutte le legislazioni regionali.

Il modello della monocoltura paesistica. Sviluppa, fino all'esasperazione le fondamentali esigenze paesistiche, che sono pure una delle componenti essenziali del PTCP, tanto da farle diventare di fatto l'unico contenuto del piano. Il tema dominante è quindi quello della forma del territorio, di cui si descrivono sostanzialmente le caratteristiche attuali e si propongono la conservazione e la riqualificazione, in un tentativo, del tutto velleitario, di poter gestire una problematica tanto complessa e di così lungo, periodo attraverso una operazione di pianificazione a medio termine, con strumenti esclusivamente urbanistici. Questo modello trascura inevitabilmente, proprio perché non sono il centro dell'interesse del piano, le problematiche insediative e infrastrutturali, ma anche le stesse problematiche ecologiche, che sono assai più ampie di quelle paesistiche, esaltando di quest'ultime solo la componente più formale.

Il modello della incursione morfologica. Mutuato direttamente dai PRG della ultima generazione che hanno enfatizzato in modo particolare il disegno morfologico della città, sviluppa il disegno delle morfologie territoriali per quanto riguarda il sistema insediativo ma anche il sistema paesistico. Investendo talvolta le forme architettoniche delle attrezzature provinciali, che diventano così essere uno degli oggetti di competenza del PTCP. Naturalmente questo modello comporta anche una evidente componente autoritaria, sottraendo ai Comuni scelte esclusivamente locali.

Il modello strutturale. Si tratta del modello, a nostro giudizio, più aderente alle disposizioni della legge 142/90 e sviluppato nella proposta di riforma urbanistica proposta dall'INU a partire dal '95, ma soprattutto più efficace nella risposta alle esigenze della pianificazione di "area vasta". E' il risultato dell'incrocio della componente ambientale, vale a dire i vincoli atemporali e non indenizzabili derivanti dalla legislazione paesistica e dalle norme della legislazione di tutela ambientale e di formazione dei parchi (le "invarianti" del piano), con la componente programmatica, relativa alle scelte strategiche, realmente possibili e concretamente operabili cioè, per il sistema infrastrutturale e per le attrezzature di rilevanza territoriale e per il sistema insediativo. Operando secondo il metodo della copianificazione con tutti i Comuni, nei confronti dei quali garantisce una offerta di servizi, informativi e cartografici.

4. Il PTCP strutturale

La forma strutturale del PTCP consiste, in primo luogo, nell'assenza di vincoli prescrittivi negli elaborati di piano, ad eccezione dei vincoli ambientali. Le rappresentazioni progettuali cartografiche non assumono un carattere prescrittivo neppure per quanto riguarda le previsioni infrastrutturali e per quelle relative a servizi, attrezzature e insediamenti di rilevanza sovracomunale, il cui vincolo è rappresentato soltanto dall'obbligo per i Comuni e la Provincia che hanno sviluppato il processo di copianificazione, di rispettare le scelte pubbliche concordate, nei piani successivi e con l'attuazione. Il rifiuto del modello autoritario di pianificazione di "area vasta" dall'alto, impedisce infatti di riprodurre alla scala territoriale il modello vincolistico-attuativo tipico della scala comunale, definendo invece una forma di piano che garantisce la concreta attuabilità delle scelte attraverso un processo di pianificazione condivisa tra i due livelli, Provincia e Comuni, a cui compete il governo del territorio, nel pieno rispetto quindi del principio di sussidiarietà, assai conclamato, ma in realtà praticamente ignorato dalla pratica amministrativa italiana.

In sintesi:

  • gli unici vincoli prescrittivi cartografati sono quelli ambientali definiti dalla legislazione nazionale e regionale; vincoli quindi atemporali e non indennizzabili come sancito dalla giurisprudenza costituzionale, che comprendono anche quelli della pianificazione paesistica;
  • le altre scelte del PTCP evidenziate negli elaborati grafici progettuali costituiscono un vincolo programmatico per l'Amministrazione Provinciale e in generale per gli altri soggetti di interesse pubblico che hanno partecipato al processo di copianificazione che sta alla base del PTCP; la loro rappresentazione cartografica è invece indicativa e quindi congruente con il carattere di autoregolamentazione che assume l'intera pianificazione provinciale;

  • le indicazioni programmatiche del PTCP, in particolare quelle relative alle infrastrutture (della mobilità, tecnologiche, energetiche e per lo smaltimento dei rifiuti), quelle relative al sistema dei servizi e delle attrezzature di rilevanza territoriale, nonché quelle relative ad eventuali insediamenti produttivi di rilevanza sovracomunale, assumono una dimensione prescrittiva e vincolante attraverso la pianificazione comunale; cioè attraverso la definizione prescrittiva, grafica e normativa dei PRG.


L'attribuzione ai PRG della sostanziale responsabilità della disciplina del sistema insediativo comporta l'elaborazione di un Documento di indirizzi per la pianificazione comunale, che evidenzia i criteri che la Provincia utilizzerà per l'approvazione degli stessi PRG. Si tratta di un documento fondamentale per il modello strutturale di PTCP, che rappresenta le ragioni della pianificazione condivisa cui si faceva riferimento in precedenza.

Le prime esperienze dei PTCP hanno peraltro dimostrato assai chiaramente, come una sostanziale solidarietà tra Comuni e Provincia sia l'elemento fondamentale di successo di un PTCP, proprio per la grande vitalità politica e urbanistica che appartiene ai Comuni italiani. Al PTCP i Comuni chiedono indicazioni esplicite per le politiche ambientali e indirizzi per le politiche infrastrutturali e insediative, accettandone quindi le conseguenze vincolistiche tali da sostanziare concretamente i propri piani; alla Provincia chiedono innanzitutto rapidità e tempismo nell'approvazione degli strumenti urbanistici, ma soprattutto il rispetto della propria autonomia nelle scelte che competono al proprio livello di governo. Ai Comuni la Provincia offre la grande mole delle informazioni e delle analisi normalmente sviluppate dai PRG (il che riduce tempi e costi dell'elaborazione del piano), ma chiede coerenza nel rispetto di parametri ed indirizzi qualitativi e quantitativi per la residenza, l'industria, il terziario, il commercio, il turismo; evitando di riproporre obsoleti parametri quantitativi (il dimensionamento riferito ad astratti fabbisogni, gli standard riferiti agli "abitanti teorici", ecc.) e sollecitando il metodo dei bilanci (delle attuazioni, delle capacità espropriative) anche per sostenere nuove modalità attuative, come quella perequativa, non certamente imposta, ma solo suggerita.

Le condizioni prima ricordate evidenziano i motivi per cui il Documento di indirizzi per la pianificazione comunale assume una rilevanza centrale nel modello di PTCP sperimentato nella Provincia di Pesaro e Urbino. Tali indirizzi rappresentano infatti le indicazioni programmatiche per il sistema insediativo e ad essi il PTCP affida quindi una parte rilevante della sua attuazione.

Le problematiche attuative riguardano, infine, il metodo già citato della copianificazione, un altro elemento centrale del modello strutturale del PTCP, che deve risultare come il centro di convergenza di tutte le istituzioni pubbliche elettive e funzionali, che hanno competenze e responsabilità per gli interventi sul territorio.

In alternativa al metodo oggi imperante dei "cento sportelli" (delle Sovrintendenze, delle Autorità di bacino, delle Agenzie regionali per la protezione ambientale, dell'ANAS, delle Aziende sanitarie locali, delle Ferrovie, dei Vigili del fuoco, della Protezione civile, ecc.) e dei relativi cento controlli, permessi e nullaosta che si sovrappongono alle competenze di Regioni, Province e Comuni, un metodo che normalmente comporta cento varianti ai piani comunali o procedure speciali eccezionali (accordi di programma, conferenze di servizi, ecc.), va contrapposto il metodo della copianificazione, vale a dire l'obbligo di tutte le istituzioni elettive o funzionali dello Stato a partecipare alla formazione del piano con procedure garantite, che comportano un accordo rapido e organico.

Questo piano è il PTCP, che proprio in quanto strumento di pianificazione territoriale può diventare il punto di incontro di tutte le istituzioni elettive e funzionali dello Stato, ovvero, in sintesi, la scelta dello Stato che rappresenta tutte le sue istituzioni e che tutte le istituzioni rispettano e dal quale deriva un solo processo autorizzativo che vale per tutti gli operatori, pubblici o privati che siano.

Eliminando le tanto complesse e farraginose, quanto inutili (perché normalmente descrittive) e autoritarie norme di attuazione che troppo spesso accompagnano i PTCP (quasi che la maggiore estensione territoriale debba comportare norme ancora più estese di quelle dei PRG), i nuovi piani provinciali devono contenere al proprio interno scelte già copianificate e quindi attuabili, disciplinando semplicemente le regole della copianificazione necessarie per la gestione del piano. Il PTCP di Pesaro e Urbino tenta di sperimentare questa strada, probabilmente in modo ancora insufficiente, ma certamente significativo; tanto che non esiste un elaborato denominato "Norme di attuazione", ma più propriamente un documento assai sintetico, che contiene le "Regole e i criteri per la copianificazione".

In conclusione la forma strutturale del PTCP comporta una scelta vincolistica solo per il livello ambientale e per le scelte pubbliche copianificate. Riguarda previsioni temporali di medio periodo e scelte selezionate programmaticamente valutando le attuazioni realmente prevedibili per tale periodo. E' organicamente legata ai bilanci delle diverse istituzioni pubbliche e ai trend presumibili degli investimenti privati. Ancora una volta presenta quindi i principali caratteri dell'urbanistica riformista.

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