Scenari di evento - Terremoti
Il territorio della Provincia di Pesaro è stato interessato in passato da terremoti di notevole intensità, risentendo anche di sismi con epicentro nelle aree limitrofe, situate sia nella regione Marche che nelle regioni vicine.
Il più forte terremoto registrato nella regione Marche si è verificato peraltro nell’anno 1781 proprio nella provincia di Pesaro ed in particolare nel Comune di Cagli, con intensità del X grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS).
Ulteriori terremoti di notevole intensità hanno interessato la provincia di Pesaro nell’anno 1389 in località Bocca Serriola con intensità del IX grado della scala MCS e il Comune di Fano con intensità pari al VII grado della scala MCS, nell’anno 1712 il Comune di Frontone , con intensità pari a VII-VIII gradi della scala MCS e nell’anno 1727 in Comune di S.Lorenzo in Campo con intensità pari al VII grado della scala MCS.
Terremoti di notevole intensità hanno inoltre interessato, nell’anno 1916, l’alto adriatico in prossimità del confine con la provincia di Rimini con intensità pari all’ VIII grado della scala MCS, nell’anno 1352, la località di Monterchi , in provincia di Arezzo, con intensità pari al IX grado della scala MCS, nell’anno 1917 la stessa località di Monterchi e la vicina località di Citerna , sita in provincia di Perugia, con intensità pari al IX grado della scala MCS e, nell’anno 1458, il Comune di Città di Castello, sempre in provincia di Perugina, con intensità pari al IX grado della scala MCS.
La intera dorsale appenninica Umbro - Marchigiana, interessata in passato da scosse sismiche di notevole intensità (magnitudo 5.5 e 5.8) con effetti stimati nell’VIII-IX grado della scala MCS nei comuni di Nocera Umbra, Foligno, Camerino, Serravalle di Chienti e Fabriano è peraltro sede di sismicità rilevante, pur distribuita in maniera non omogenea.
La distribuzione delle massime intensità macrosismiche registrate nella regione è stata quindi oggetto di approfondite analisi da parte degli istituti di ricerca operanti sia sul territorio regionale che nazionale.
I documenti al riguardo prodotti dal Dipartimento della Protezione Civile grazie alla collaborazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica ( fig.1 ) mostrano comunque che nei comuni della regione colpiti dai più recenti eventi il livello degli effetti non ha mai superato il valore massimo sperimentato nel corso dell’ultimo millennio.
Una prima analisi della pericolosità del territorio regionale sotto il profilo sismico e dei diversi gradi di rischio interessanti i comuni della regione è stata effettuata in collaborazione con il Gruppo Nazionale Difesa Terremoti del Consiglio Nazionale delle Ricerche per l’attuazione della Legge Regionale n. 33/84, recante norme per le costruzioni in zone sismiche , emanata a seguito della entrata in vigore delle disposizioni relative alla classificazione sismica del territorio nazionale.
In tale occasione furono desunti tre livelli-base di rischio determinato essenzialmente dalla pericolosità sismica delle località individuate sulla base delle informazioni disponibili riguardanti i modelli sismotettonici , la sismicità storica, le leggi di attenuazione ecc., da prendersi in considerazione in sede di formazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici comunali anche in assenza delle ulteriori indagini ritenute necessarie a livello locale.
La importanza di specifiche indagini in ordine alla pericolosità sismica locale derivante da particolari condizioni geologiche o geomorfologiche ed alla vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio esistente era stata infatti posta in adeguata considerazione fin dal tempo di redazione del relativo documento, ancor prima quindi che l’evento del 1997 confermasse con i rilevanti effetti di sito accertati la validità dei contenuti del provvedimento al riguardo adottato.
Ulteriori analisi di dettaglio in ordine alla pericolosità sismica del territorio nazionale sono state successivamente effettuate dal Servizio Sismico Nazionale e dal Gruppo Nazionale Difesa Terremoti - in vista della riclassificazione sismica del territorio in attuazione delle disposizioni di legge vigenti in materia - e di recente poste a disposizione delle amministrazioni direttamente interessate.
La zonazione sismogenetica utilizzata, espressamente elaborata per le finalità previste, è basata su un’analisi cinematica degli elementi geologici, cenozoici e quaternari, che assume un ruolo primario nella ricerca delle relazioni tra le strutture litosferiche profonde, quelle crostali e quelle attive in superficie. Il confronto tra il modello geodinamico prodotto e la sismicità osservata ha permesso di definire un modello cinematico evolutivo della penisola italiana e di suddividere il territorio nazionale in 80 zone sismogenetiche.
Secondo tale modello la fascia appenninica umbro-marchigiana è suddivisa in diverse zone, le più attive delle quali risultano la 45, la 46 e la 47 (fig. 2). Queste zone costituiscono la parte assiale della catena che è caratterizzata principalmente da faglie attive normali ed oblique con direzione da NO-SE a N-S la cui attività è evidenziata dalla dislocazione di depositi e forme di età riferibili al Pleistocene Superiore – Olocene.
Il catalogo storico adottato riguarda 2.488 eventi degli ultimi 1000 anni con intensità epicentrale maggiore o uguale al V-VI grado MCS e con magnitudo maggiore o uguale a 4. Per garantire l’indipendenza degli eventi alla base dell’ipotesi di stazionarietà, implicita nel metodo utilizzato (Cornell) il più diffuso a livello internazionale per calcoli di pericolosità e mappe di zonazione a scala regionale e maggiormente compatibile con lo stato delle conoscenze del quadro sismotettonico e del potenziale sismogenetico del territorio italiano , sono stati rimossi gli “aftershock“ e i “foreshock“ all’interno di una finestra spazio-temporale di 30Km e +/- 90 giorni. Fra il catalogo e le zone sismogenetiche vi è una relazione geografica , per cui ciascun evento , nella quasi totalità dei casi , ricade in una zona sismogenetica.
I risultati degli approfondimenti svolti dal Servizio Sismico Nazionale e dal Gruppo Nazionale Difesa Terremoti con la suddetta metodologia operativa e gli stessi dati di base, seppur con differenti criteri di elaborazione opportunamente confrontati peraltro attraverso un’accurata analisi di sensibilità finalizzata ad evidenziare la influenza sui risultati finali delle diverse scelte compiute ed a selezionare quelle più appropriate alla realizzazione delle nuove mappe previste hanno quindi consentito la formazione, nel recente periodo, di un quadro di riferimento della pericolosità sismica del territorio nazionale riferita sia ai valori di PGA (massima accelerazione attesa al suolo) che alla intensità macrosismica (scala MCS) certamente più aggiornati rispetto al passato.
La carta di pericolosità sismica riferita alla intensità macrosismica (scala MCS) (fig. 3) consente più facili riferimenti ai possibili effetti sul territorio di scosse sismiche della intensità ipotizzata, bisognosi tuttavia di aggiornamento in relazione al tempo trascorso dalla istituzione della scala MCS in quanto la evoluzione dei sistemi costruttivi influisce direttamente sulla vulnerabilità dei complessi edilizi.
L’altro elaborato invece, riferito ai valori di PGA, (fig. 4) per essere interpretato, richiede invece la conoscenza dello stato di vulnerabilità delle costruzioni sottoposte alle sollecitazioni prodotte dalle scosse sismiche in termini di accelerazione di picco al suolo, spesso mancante nonostante gli obblighi previsti dalle disposizioni ormai da tempo vigenti sul territorio regionale, precedentemente citate.