Cenni Storici

La via dei due mari, la strada della Guinza, la Grosseto–Fano, nomi di oggi per un’idea di ieri, un’idea che risale fino a Papa Pio VI e a Lepoldo Granduca di Toscana, i quali per primi posero il problema di come superare la catena appenninica per collegare più agevolmente Tirreno e Adriatico e per rendere più rapido e sicuro il transito delle merci e delle persone tra due regioni, allora tra due stati, i cui rapporti economici e culturali, nonostante le difficoltà di comunicazione, si perdono nel tempo, ancora prima del rinascimento, quando Urbino e Firenze erano due capitali europee.
La ricerca di una soluzione per rendere più agevole il superamento della suddetta barriera naturale rappresentata dall’Appennino, abbreviando le distanze tra le valli del Metauro e del Tevere ovvero tra le regioni Marche, Umbria e Toscana, è di antica data e per risolverla solo il ricorso alle più moderne tecniche di costruzioni stradali potrà arrecare un contributo decisivo.
Nell’antichità, per tutto il medioevo e per buona parte dell’età moderna le comunicazioni in quell’area sono state garantite da un reticolo viario, fitto di sentieri e mulattiere tagliati lungo i fianchi della montagna, con remote tracce di un sistema di diverticoli facenti capo alle vie romane metaurensi e tifernati.
Dal Trecento al tardo Settecento, numerosi documenti testimoniano come l’attraversamento più frequentato della catena montuosa, essendo naturalmente il più breve, è quello che ha inizio nella località di San Sepolcro e per Bocca Trabaria arriva a Mercatello sul Metauro.
Tale percorso vede per centinaia d’anni il transito del "procaccia" di Firenze , cioè di un addetto al trasporto della corrispondenza e piccoli colli tra Firenze ed Ancona, utilizzato già dai Medici e da altri banchieri fiorentini per inviare ordini di incasso o di pagamento agli "agenti anconitani" , oltre a tenere i rapporti epistolari con la costa adriatica e dell’area balcanica ed anatolica in contatto con Ancona, al cui porto fanno scalo i bastimenti da e per l’Oriente.
Lungo quel tragitto gli storici della Massa Trabaria vedono scorrere dal XIII secolo in poi le travi ed il legname, tratti dalle folti selve che rivestono i fianchi monti, utilizzati per l’erezione delle basiliche romane, comprese la vaticana, e il trasporto a Roma era facilitato dall’uso di una buona via d’acqua, quale il corso del Tevere.
Verso la metà del XVI secolo F. Biondo, compiendo il suo viaggio lungo la valle del Metauro attraversando S.Angelo in Vado e Mercatello sale "più sopra a sul passo del Appennino [ove] è Amola castello, onde si va di Romagna in Toscana, per faticosa strada".
Dopo il Biondo è la volta di Leandro Alberti che nella Descritione di tutta Italia cita la località di Mercatello vicino "all’Appennino" da cui per una "molto apra via […] si passa per gli alti monti di Romagna e Toscana".
Anche parecchi viaggiatori stranieri dal XVI secolo in poi desiderando includere nei loro tours italiani la visita ai luoghi legati alla memoria di Raffaello e di Piero della Francesca, di Bramante e del Castiglione, hanno riempito i loro taccuini di viaggio di impressioni e di felici descrizioni delle località visitate.
Ed è quasi al confine del Ducato, a Lamoli per l’appunto, che nel Maggio del 1621 Francesco Maria II della Rovere attende il corteo nuziale che accompagna Claudia dei Medici in cammino da Firenze verso Urbino per la via di Monte Casale.
Così pure altri personaggi illustri transitano per Lamoli e Mercatello e S.Angelo in Vado finché il percorso non viene declassato dall’uso sempre più frequente, a partire dalla metà del XVII secolo, della carrozza trainata dai cavalli e della diligenza. E’ il momento in cui le aspre salite della via più breve deviano le scelte di percorso verso alternative più adagiate ma la loro estensione fanno subito sentire la necessità di realizzare una nuova strada che colleghi la Toscana all’Urbinate.

Alcuni progetti dal seicento al periodo napoleonico
Tra la Toscana medicea e lo Stato della Chiesa, dopo la devoluzione del Ducato urbinate, si studia una comoda via commerciale già intorno al 1650, per cogliere un rilievo di Armando Lodolini. Poco o niente si sa di tale progetto, come scarse sono le notizie circa l’atro percorso pensato nel 1689 e più tardi ripreso in esame durante le dispute del primo Ottocento, circa alcune varianti da adottare al fine di avere un tracciato più breve che metta in comunicazione il Tirreno con l’Adriatico.
Notevoli sono gli sforzi per tale ricerca. Assai più pronti si dimostrano i toscani che nel 1786, nel momento in cui il granduca Leopoldo dà mandato all’ingegner Pietro Ferroni di progettare la "strada di Romagna", da Firenze a Forlì, allo stesso tecnico chiedono di recarsi in visita ai luoghi dell’Alpe della Luna, per rinvenire un tracciato che attuasse un congiungimento di Arezzo con Fano e quindi con Ancona. Ed il Ferroni suggerisce un percorso che da Arezzo, dirigendo verso sud e passando per Palazzo del Pero e Le Ville raggiunge Borgo S.Sepolcro e quindi superato il confine pontificio, risale l’Alpe della Luna per scendere nella Valle del Metauro e proseguire in direzione di Fano. Le indicazioni del Ferroni, non così differenti da quelle del durantino Leonardi, entusiasmano anche il giovane ingegner Vittorio Fossombroni, al quale il granducato conferirà importanti incarichi di governo negli anni della Restaurazione. E sarà proprio lui a battersi nel secondo decennio dell’Ottocento per convincere le autorità romane a realizzare una strada tra Arezzo ed Urbania.
Dopo il granduca Leopoldo, il successore Ferdinando III, è assorbito da altre questioni di stato e i grandi progetti riformatori subiscono un freno, talché la politica del granduca Ferdinando è vista di minor tono rispetto a quella leopoldina.
Nel frattempo, le fazioni politiche di altre località, nonostante la loro grande influenza nel contesto nazionale, tentano invano di deviare il tragitto a loro comodo e necessità.
Si spiega il motivo per cui solo nell’aprile del 1810 viene pubblicato a Compiègne il decreto che fissa il tragitto della strada dei due mari per la valle del Metauro, puntando prima a raggiungere Fano e poi Ancona.
Il 25 Maggio del 1810 dalla Direzione generale di Acque Strade e Porti marittimi del Regno in Milano vien diramato l’ordine all’ingegnere in capo del Dipartimento del Metauro, conte Rambaldo, di stendere un progetto di strada che "dalla sommità dell’Appennino verso Monte Casale (confine dell’Impero francese con il Regno d’Italia) e passando con la linea per Lamoli, Sompiano, Borgo Pace, Mercatello, S.Angelo in Vado, Urbania, Fermignano, Calmazzo, Fossombrone, giunger dovesse al porto di Fano". Il progetto vien redatto dal Rambaldo con la collaborazione di un nutrito corpo di geometri e ingegneri nell’arco di due anni, dal 30 luglio 1810 al 30 aprile 1812. Solo in quella data il Rambaldo può disporre di un primo rapporto con allegato un progetto di massima e la prima previsione di spesa.
La stima ammonta a 6.847.551 lire italiane.

La via di Bocca Trabaria
Tramontato Napoleone e l’intero sistema stradale da lui organizzato in Italia prima del 1814, per il disposto del Congresso di Vienna, è ristabilito il governo pontificio nelle Marche.
Per sostenere la nuova strada necessaria per congiungere le provincie tifernate e urbinate e quindi gli stati Toscano e Pontificio superando la catena appenninica, Gonfaloniere Crescentino Pasqualini inizia così una accorata lettera, datata 25 ottobre 1816, agli Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali della Congregazione Economica di Roma:
"Aprire la più breve, e la più comoda comunicazione fra i due mari Mediterraneo ed Adriatico ne i Stati Pontificio, e Toscano è il voto universale delle popolazioni limitrofe ai due mari medesimi".
Ed è proprio dalla seduta plenaria del 31 gennaio 1817 che la Congregazione rilascia il consenso a procedere sul tracciato delineato dal Rambaldo, per Bocca Trabaria facente capo a Fano, anche se più necessario era provvedere al tratto "a finibus Ubriae usque ad Urbaniam".
Avvenne così che, dopo circa un decennio di indugi burocratici risolti grazie alla costante opera di mediazione del cav. Federico Capei, l’11 luglio 1829 si stipula una apposita convenzione tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana firmata da ambe le corti.
Il progetto porta la firma degli ingegneri Bertolini e Manetti.
Il 25 agosto viene bandito l’appalto dei lavori sul primo tronco della strada che oggi è denominata SS 73 bis di Bocca Trabaria.
Nel giugno del 1841 è possibile conoscere un primo bilancio delle spese nel momento in cui in Urbino viene firmato il verbale di chiusura dei lavori alla presenza del Legato Riario Sorza de di Ambrogio Piovacari, provveditore dell’Ufficio di Soprintendenza comunitativa di Arezzo, rappresentante il governo toscano. La somma totale è di scudi 283.363 e rotti dei quali scudi 94.454 è la parte accollata alla Toscana.


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