Al paese i vecchi guardavano il pennello della torre. Il vento dell'est era sinonimo di neve e la neve arrivava sempre "dal mare". I vecchi guardavano il pennello e sentenziavano le loro previsioni ricorrendo a quantificazioni antropo morfiche: "una scarpa di neve", "un ginocchio di neve", "un culo di neve". Le annate nevose si ricordavano sulla base di questi parametri; eccezion fatta per il 1929, quando ci si era dovuti basare su altri parametri di riferimento: il muro di cinta del cimitero, la finestra di casa, i tronchi degli alberi. A parte gli inevitabili e fastidiosi geloni, i miei personali ricordi di neve sono meno apocalittici: il suono ovattato dell'orologio pubblico, le assenze da scuola, gli infruttuosi tentativi di curvare nell'acqua calda un'asta di legno a mo' di sci, le marce avventurose sotto la neve dalla strada nazionale al paese isolato...

Forse la neve del 1956 è stata l'ultima neve degna di essere paragonata al nevone del mitico '29. Sia per la quantità, sia per le condizioni in cui è stata affrontata. Dopo quella data anche le grandi nevicate (insieme ai modi e alle condizioni di vita in generale) hanno cambiato volte e la neve non è stata più la stessa cosa. Quell'elemento che si insinuava nelle case attraverso le porte, le finestre e i pertugi del tetto; il freddo che gelava l'acqua nelle brocche delle camere e della cucina; che immobilizzava uomini e donne nelle stalle, nelle osterie o davanti ai camini di casa, costringendo a rifugiarsi nei proverbi e nella memoria. Gli anni del boom economico garantirono una volta per tutte un tepore generalizzato, l'incessante opera degli spazzaneve, la possibilità di continuare il proprio lavoro. Ma da allora le nevicate non trovarono più concordanza con i ritmi di vita personali e sociali. Persero gran parte della loro dura poesia, diventarono ingombranti, fastidiose, dannose. Per gli affari, per le strade, per il sistema nervoso. L'antropometria della neve perse quasi all'improvviso ogni significato: non fu più il corpo a confrontarsi direttamente con il manto nevoso: le immagini mutuate dalla fisiognomica cedettero il passo alle metafore automobilistiche. Da un "culo di neve" si passò a "una ruota di neve" e le scarpe chiodate furono sostituite dalle gomme termiche e dalle catene.

Paolo Sorcinelli

Assessore Beni storici, artistici, archeologici - Progetto Centoborghi

 

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