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Origine: Informazione e stampa - Autore: m.b.

Attraversando la Divina Commedia in compagnia di Adelelmo Campana

“Esempi di bello scrivere”, parte la quarta edizione dedicata al poema di Dante

PESARO. Dalla “selva oscura” al “ciel ch’è pura luce”. Dai gironi infernali alle visioni paradisiache, passando per le anime del Purgatorio in trepidante attesa. I tre canti della Divina Commedia saranno l’occasione per intraprendere una sorta di viaggio letterario nell’aldilà in compagnia del professor Adelelmo Campana che, nelle vesti di un moderno Virgilio, accompagnerà il pubblico in una rilettura a tappe del poema dantesco.

Ecco la quarta edizione di “Esempi di bello scrivere”, la rassegna con la quale l’assessorato ai Beni e alle Attività culturali-Editoria della Provincia rende omaggio ogni anno alla poesia italiana.

Il ciclo di conferenze, dal titolo “Traversando la Divina Commedia”, si svolgerà dal 19 febbraio al 2 aprile tutti i mercoledì pomeriggio (ore 17,30) nella sala del consiglio provinciale. Un “fuoriprogramma” concluderà gli incontri: l’ultima lettura è infatti affidata a Matteo Giardini che declamerà e commenterà i versi di Dante legati ai luoghi della nostra provincia.

«Sarà un metaforico viaggio testuale dentro il viaggio raccontato dal poeta», sottolinea Adelelmo Campana mettendo in evidenza il tratto distintivo della rassegna: la “trasversalità” nella scelta dei brani. «In questo modo - precisa Campana - da poema chiuso nella rigida visione oltremondana di Inferno-Purgatorio-Paradiso, la Commedia si trasformerà in una sorta di terra senza confini dove poter spaziare liberamente seguendo canali di lettura tematici che, oltre ad attraversare i tre regni danteschi, porteranno il pubblico alla scoperta di autori di epoche successive che si sono ispirati al divino poeta. Per esempio Tasso, Baudelaire, Eliot, Montale, Luzi, Gozzano. Senza trascurare le citazioni, o meglio le “spie”, contenute nell’Eneide e nella Bibbia».

«La rassegna - fa notare l’assessore ai Beni e alle Attività culturali-Editoria Paolo Sorcinelli - non è nata sull’onda del clamore televisivo. In realtà Campana ha individuato e preparato il tema di Esempi in tempi non sospetti. Né si tratterà di una lettura in senso stretto del poema, ma di un percorso da un canto all’altro, di una “traversata” alla ricerca di suggestioni e di echi. Dante insomma come occasione per un viaggio alla ricerca di ciò che il poeta ha lasciato nella poesia di ogni tempo».

Sei le tappe dell’itinerario (più la settima lettura di Giardini), sei le chiavi di interpretazione. Si parte con “L’alto passo di Dante e l’alto passo di Ulisse” per proseguire con “Il viatore e le sue guide”, “Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe” (sugli appelli danteschi ai lettori dei suoi versi), “Tra la perduta gente”, “Dove l’umano spirito si purga” e “E poscia per lo ciel, di lume in lume”.

“Esempi di bello scrivere” sarà dunque un’occasione unica per rileggere, fuori dagli schemi scolastici, il poema dei poemi, un’opera intramontabile pronta a rivelare ancora una volta tutta la sua ricchezza e vitalità.

 

Milena Bonaparte

 

Dalla “selva oscura” al “ciel ch’è pura luce”

 

 

Il programma di letture dantesche pensato per l’edizione 2003 di “Esempi di bello scrivere” consiste nella recitazione e interpretazione di passi della Divina Commedia collegati dal proposito di dare almeno un barlume dell’inesauribile poema al quale hanno “posto mano e cielo e terra”. Un poema in cui, nel secolo XIX, Hegel vide “l’epos artistico vero e proprio del Medioevo cattolico” e che, sempre nello stesso secolo, un critico, più attento di Hegel ai modi specifici della scrittura, si rifiutò di inserire in un determinato genere letterario, così chiarendo e argomentando: “… che poesia è codesta? Ci è materia epica, e non è epica; ci è una situazione lirica, e non è lirica; ci è un ordito drammatico, e non è dramma. È una di quelle costruzioni gigantesche e primitive, vere enciclopedie, bibbie nazionali, non questo o quel genere, ma il tutto” (De Sanctis).

Il titolo assegnato al programma è “Dalla ‘selva oscura’ al ‘ciel ch’è pura luce’. Traversando la Divina Commedia”. Da… a… Una partenza e un arrivo. Un viaggio. Dalla “infima lacuna de l’universo” all’empireo, al cielo che è, per l’appunto, “pura luce”. Nella primavera del 1300, l’anno del primo giubileo nella storia dell’Europa cristiana, il fiorentino Dante Alighieri ebbe la “visione” dell’oltremondo, dell’oltretempo. Per “manifestare” questa visione, concessa a lui, che era “co’ vivi congiunto”, dalla imperscrutabile grazia di Dio, adottò, memore di precedenti medievali e classici, e soprattutto della Bibbia e dell’Eneide, la forma del racconto di un viaggio nell’aldilà. Il gerundio “traversando” vuole indicare l’attraversamento del poema nelle sue tre cantiche - Inferno, Purgatorio, Paradiso - un metaforico viaggio testuale dentro il viaggio raccontato dai poeta.

Questo viaggio testuale è distribuito in sei percorsi. Il primo, che ha per titolo “L’’alto passo’ di Dante e l’’alto passo’ di Ulisse”, vuole illustrare il significato del viaggio oltremondano, in sé e nel confronto con la sua “figura” o anticipazione, che è appunto il viaggio dell’eroe greco.

Dante, autore-narratore-personaggio della Commedia, compie il suo viaggio accompagnato, via via, da una diversa “guida”. Il secondo percorso, intitolato “Il viatore e le sue guide”, ha per materia questi modi diversi attraverso i quali l’itinerario si svolge e le loro dichiarate ragioni.

Spesso il poeta sospende il racconto del viaggio oltremondano e si rivolge direttamente al lettore perché rilevi il significato di una situazione o partecipi alle sue emozioni di pietà, sgomento, orrore, meraviglia, gioia. Questi “appelli di Dante al lettore” (Auerbach), ricondotti dai commentatori trecenteschi alla figura retorica dell’apostrofe, sono in realtà molto rilevanti in una prospettiva critica intesa come teoria della ricezione e quindi orientata a riflettere sul pubblico, che è, nella fattispecie, il narratario colto nella varietà dei suoi rapporti con la narrazione e il narratore.

Il terzo percorso, contrassegnato con il verso iniziale di un canto del Purgatorio, (“Ricorditi, lettore, se mai ne l’alpe”) sposta l’attenzione sul destinatario del messaggio e chiude, quindi, con il terzo vertice il triangolo opus-agens-lector, parole queste del latino di Dante, critico di se stesso.

La trasversalità dei primi tre percorsi è un zig-zag compiuto all’interno dell’intero poema. Questo procedere zigzagando continua nei tre successivi percorsi, ma restringendo il suo ambito alle singole cantiche e la relativa tematizzazione è indicata con un emistichio dell’Inferno e con due versi rispettivamente del Purgatorio e del Paradiso: “Tra la perduta gente”, “Dove l’umano spirito si purga”, “Poscia per lo ciel, di lume in lume”.

Alla Comedìa (così Dante chiama il suo poema) hanno “posto mano e cielo e terra”. L’espressione può anche essere intesa come riferimento alla materia dell’opera, che è “tutto l’universo, fisico e spirituale, umano e divino, terrestre e oltremondano, in tutte le sue parti” (Mattalia). Una straordinaria ampiezza e varietà tematica, lessicale, sintattica, stilistica e ritmica, e un conseguente compito interpretativo aperto all’infinito, inesauribile. Ma questa varietà opera pur sempre all’interno di un cosmo finito, di fronte a Dio, infinito. Voce di questo cosmo, il poema di Dante ha una struttura chiusa con un incipit (smarrimento nella selva dell’uomo che dice “io”) e un explicit (movimento sincronico di questo “io” con “l’amor che move il sole e l’altre stelle”). La costruzione della nostra breve antologia di testi danteschi rompe questa forma chiusa e rende, in qualche modo, la Commedia “opera aperta”, suddivisa sì in tre cantiche ognuna di trentatré canti, più il primo dell’Inferno che fa da proemio al tutto, ma scomponibile variamente, mediante l’attiva collaborazione del lettore, in sequenze che sono unità poetiche intermedie tra il singolo canto e la cantica. Tra le varie modalità di approccio alla Commedia si è scelta quella fin qui illustrata come la più idonea – fatte pure le debite riserve – a rendere un poco la complessità del poema, solitamente frequentato autonomizzando i singoli canti (le secolari lecturae Dantis), con la conseguente sopravvalutazione dell’episodio di fronte all’insieme, degli squarci lirici di fronte a quelli di più rigoroso contenuto dottrinale, a danno quindi “della continuità e del ritmo unitario” dell’opera e spostando “l’esigenza dell’unità fantastica e strutturale del tutto alla parte singolarmente considerata” (Sapegno). Per usare due termini presi dal linguaggio settoriale dei matematici, il metodo ipotizzato cerca il “continuo” nel “discreto” e vuole cogliere, quanto più possibile, la polisemia del viaggio oltremondano.

Oltre ai passi della Commedia scelti per i sei percorsi, saranno proposti, sempre in traduzione italiana, brevissimi testi presi dalla Bibbia e dall’Eneide, la cui eco è particolarmente presente in Dante, e da poeti europei nei quali la lingua di Dante è variamente rivissuta nei secoli, in quel fenomeno comune della creazione poetica che oggi viene definito con la parola “intertestualità” o con il sintagma “dialogo intertestuale”, basati sul presupposto che in un’opera poetica “c’è sempre una infinità di senso da sviluppare e da interpretare” e che la comprensione e “un comprendere diversamente nella diversità della situazione storico-culturale”. Sono parole del filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, da lui scritte con riferimento a ogni forma di “testo” e quindi riusate con riferimento esclusivo al testo poetico. Il rapporto dialogico che si instaura tra l’interprete e il testo è chiamato da Gadamer “circolo ermeneutico” e la parola “circolo” implica “fusione” di due orizzonti: quello del passato e quello del presente; e quindi esprime il recupero del “circuito comunicativo nella sua totalità: emittente-messaggio-ricevente. Entro questo trinomio il lettore rimane certo colui che trae un senso dalla lettura del testo; ma questo senso non può essere in contraddizione col testo stesso in quanto struttura comunicativa”, né prescindere dal fatto che questa struttura è stata messa a punto da un emittente in una precisa situazione e con un chiaro intento comunicativo” (Segre); sicché un testo “pur nelle sue potenzialità metamorfiche, si ancora sempre a un contesto storico determinato” (Raimondi). Altrimenti detto “un pensiero autenticamente storico deve essere consapevole anche della propria storicità” e il testo deve avere concretamente la possibilità “di far valere il suo contenuto di verità nei confronti delle presupposizioni dell’interprete” (Gadamer). Per questa via restano metodologicamente esclusi l’approccio dell’erudito, per il quale i testi sono occasioni di una scienza disanimata e fredda, e quello del lettore-critico facilmente corrivo a contemporaneizzare i testi, ad assumerli senza mediazioni nel proprio presente, perdendo il tempo storico nella nebbia dell’intemporale e facendo del passato, con atto di appropriazione indebita, un uso strumentale: un complesso di simboli destinati a mutare, se mutano i tempi e le attese.

 

 

 

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