Comunicati stampa | Dalla Provincia
Origine: Informazione e stampa - Autore: Giovanna Renzini

Vito Mancuso e Giulio Giorello, felicità tra fede e scienza

Il teologo: “E’ importante l’accordo tra corpo, psiche e spirito, senza sacrificare nessuna dimensione”. Il filosofo della scienza: “Non si persegue da soli ma insieme agli altri, nel rispetto della libertà di scelta e di pensiero”

PESARO – Il teologo Vito Mancuso che cita più volte un laico come Spinoza ed il filosofo della scienza Giulio Giorello che cita Papa Benedetto XVI e Giovanni della Croce. L’affollatissimo incontro a Palazzo Gradari sul tema “Felicità con Dio o con la scienza?”, moderato dal giornalista e scrittore Edoardo Camurri, ha dimostrato come la felicità per un uomo di fede e per un uomo di scienza non parli poi linguaggi così diversi.

Vito Mancuso, nel definire la felicità “precaria ed effimera”, ha evidenziato come “il paradosso stia nel fatto che la ricerca di questa felicità provochi spesso ansia e insoddisfazione e questo perché la cerchiamo troppo fuori di noi e non dentro di noi”. La felicità è dunque interiore e Mancuso la individua nella parola “letizia” (usata spesso da Spinoza), che si conquista “solo attraverso l’accordo tra corpo, psiche e spirito, senza sacrificare nessuna dimensione a scapito dell’altra”. Soprattutto, per Mancuso, “la felicità può essere seguita e perseguita solo in comunione con gli altri, collocando se stessi in una dimensione più ampia”. E se la felicità permanente non ci è data, “quello che però possiamo perseguire e considerare stabile è il metodo che abbiamo nella vita: non parlo di felicità a buon prezzo, quella che basta comprare un prodotto per averla, ma di felicità che si conquista con fatica, facendo vuoto, sbarazzandosi di cose e certezze e che porta alla pace del cuore: alla fine, quello che conta è l’onesta profonda, la pulizia interiore, la sincerità, la trasparenza verso se stessi e verso gli altri”.

Giulio Giorello, nel richiamarsi all’Inno alla Gioia di Beethoven con cui il Pontefice è stato accolto alla Scala di Milano, ha evidenziato come il nome originario dell’opera fosse “Inno alla libertà”, cambiato poi per non andare incontro alla censura. “Gioia e libertà – ha detto – sono due facce della stessa medaglia e questa è la conquista faticosa dell’illuminismo. La felicità non può essere perseguita da soli ma insieme agli altri, sempre però nel rispetto dell’altrui libertà, di scelte e di pensiero”. Due le proposte del filosofo della scienza: “considerare la felicità come un elemento essenziale della fraterna convivenza all’interno di un popolo e tra i popoli, senza opprimere gli altri o lasciarsi opprimere” e “considerare la ricerca della felicità come la felicità stessa, che non vuol dire impossessarsi di qualcosa, ma è una tensione ideale”: in poche parole, il desiderio di lasciare qualcosa di noi, che sia un’opera d’arte, una composizione musicale o quant’altro.

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