Comunicati stampa | Dalla Provincia
Origine: Informazione e stampa - Autore: Francesco Nonni

Bartolucci: «Settori tradizionali della nostra economia sono superati, riflettiamo sul senso della città per un nuovo umanesimo»

Il presidente del consiglio provinciale invita Fiorenzo Alfieri. Con Oriano Giovanelli dialogo sulla trasformazione delle città per uscire dalla crisi: giovedì l’iniziativa pubblica

PESARO –  «Il modello che per anni si è retto sul mobile e sulla meccanica non basta più. L’identità unica? Non ha superato la prova del tempo, anche in termini concettuali. Riflettiamo sul ruolo della città: partiamo dal tessuto urbanistico e dai caratteri del territorio. Da altre parti l’hanno già fatto, con risultati brillanti».
   Luca Bartolucci, presidente del consiglio provinciale, si è fatto crescere la barba. Nel suo ufficio guarda la foto di don Gaudiano insieme a Paolo Drago e a un gruppo di amici con cui ha iniziato a impegnarsi in politica. «Credo nel cambiamento; credo nella solidarietà; credo nel civismo». Anche per questo ha fondato «Le Rondini», neonata associazione civica per il bene comune pesarese. «Uomini di buona volontà», come li battezza lui. Giovedì 24 gennaio, alle 17.30, nella sala del consiglio provinciale ha voluto un protagonista della storia dell’amministrazione italiana: Fiorenzo Alfieri, lo storico assessore protagonista del rilancio torinese. Il motore della conversione della città della Fiat nella «bomboniera d’Italia». Un processo incastonato nel libro «La città che non c’era». Il volume sarà presentato dall’autore nel dialogo con Oriano Giovanelli: iniziativa pubblica promossa dalla presidenza del consiglio provinciale e dalle Rondini con il sostegno di Cidac, l’associazione nazionale delle città d’arte e cultura.
Bartolucci, che c’entra Torino con Pesaro?
«Alfieri è stata la mente della pianificazione strategica che ha cambiato il volto del centro piemontese. La città era piena di limiti, evidenti e stonati. Si era schiacciata interamente sulla Fiat, perdendo per strada pezzi di sé.»
Arriviamo al punto.
«La costruzione della città-fabbrica alla fine è crollata. Alfieri e altri intellettuali dell’epoca, tra cui “il primo” Giuliano Ferrara capogruppo Pci in consiglio comunale, sono stati gli autentici precursori. Riflettevano già negli anni ’70 sulle prospettive sociali di un centro identificato in toto con la fabbrica automobilistica. Il ripensamento, nato come spunto sociologico, negli anni ’90 è diventato una necessità con la crisi della Fiat. Un declino che Alfieri ha saputo evitare, recuperando il patrimonio culturale e artistico di un tessuto urbano che poteva esprimere anche altro».
Continua a sfuggirmi il nesso.
«Non siamo Torino ma alcune similitudini sono da indagare. Loro si reggevano sulla Fiat, noi sul settore del mobile e della meccanica. Da amministratore Alfieri ha saputo interpretare il bisogno di cambiamento. Ridando vita alle piazze, ai salotti-caffè. Ha valorizzato il patrimonio architettonico dei palazzi pubblici e privati, poi ha messo  in moto iniziative diverse e di impatto. Dall’utilizzo multiforme della Mole alle Olimpiadi invernali. Per arrivare alle celebrazioni del 150esimo dell’unità d’Italia».
E noi?
«Questo è il momento in cui anche la nostra città si deve interrogare sul suo destino. Con la crisi niente è più come prima. Dobbiamo ripensare il territorio, la sua storia. Favorendo nuovi spazi lavorativi e di impresa, a partire dalle caratteristiche di eccellenza, per l’apertura al mondo globale. Serve ragionare come una realtà dinamica e fertile per l’innovazione, l’accoglienza e lo spirito d’intraprendenza. Tempi nuovi si profilano all’orizzonte».
 Sta dicendo che è tutto da rifare.
«La crisi sposta gli orizzonti spazio-temporali. Ma ci sono basi che vanno salvate. Non a caso il dialogo di Alfieri sarà con Giovanelli, che da sindaco ha investito su una progettualità condivisa. In primis con l’ “urban center”: alcuni elementi di quell’idea oggi sono superati, ma altri sono assolutamente attuali e vanno recuperati. In futuro va rimessa al centro un’idea di senso. Per riscoprire noi stessi».
  Insomma, sta agitando le acque. Anche con le sue “Rondini” che, se ho ben capito, dovrebbero annunciare una nuova primavera…
 «Chiariamo subito una cosa: non è un’associazione  politica. Si tratta di volontariato aperto a chi desidera fare del bene. Siamo nati da poco e abbiamo fatto due iniziative di beneficenza, per rispondere alle situazioni di miseria che si affacciano. Ma non siamo in cerca di pubblicità: ci muoviamo come amici. Informalmente, in rete, tra i nostri contatti. Vogliamo essere persone di speranza che portano umanità. Il cambiamento del mondo? Lo lasciamo a Benedetto XVI e a Obama».
Mentre lo dice, la coda dell’occhio va ancora alla foto di don Gaudiano. Per ora vuole chiudere qua. Ma scommettiamo che avrà presto altre cose da dire.

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